Rimettersi in gioco dopo aver perso il lavoro, cercando fortuna all’estero proprio come fanno i giovani, quelli che in Italia vengono chiamati “cervelli in fuga”. E farlo quando l’età non è più quella della laurea o di un primo impiego, ma comincia ad avvicinarsi a quella del pensionamento. È ciò che ha fatto Lino, ingegnere italiano di 63 anni che dopo la liquidazione dell’azienda in cui lavorava e dopo aver cercato invano una nuova occupazione in Italia sempre come ingegnere, si è trasferito a Stoccarda, in Germania, investendo su corsi di lingua e master professionalizzanti. La sua esperienza però non è andata a lieto fine, tanto che successivamente ha ripiegato sulla Francia dove, a suo dire, “conta più il saper fare che il peso dell’età”. Anche per questo motivo il nome che utilizziamo per raccontare la sua storia è di fantasia, per salvaguardare la sua famiglia e non pregiudicare la sua ricerca di una nuova occupazione.
“In Germania ho inviato tanti curriculum e mi sono arrivate molte risposte: mi facevano i complimenti, ma dicevano anche che ero troppo qualificato o che non potevano offrirmi un posto adeguato – spiega Lino a ilfattoquotidiano.it -. La verità è che la Germania non è l’El Dorado che raccontano. Gli italiani qui sono spesso ai margini della società. Chi pensa di trovare fortuna ma non ha una qualifica, viene sfruttato. Magari guadagna 1500 euro lordi al mese, ma deve pagare circa 500 euro in tasse se non ha nessuno a carico, e una stanza, se la trova, può costare anche 500 euro in nero. Insomma, vivacchia, più che vivere”. Per i giovani magari ci sono delle opportunità, ma questo, sottolinea Lino, è “perché in Italia non avevano un lavoro o erano precari. Ma per chi ha creato qualcosa e vuole andare avanti, non è possibile accettare queste condizioni. La lingua poi è un muro e non è facile parlare un tedesco adeguato al livello di un lavoro specialistico”.
In Germania chi pensa di trovare fortuna ma non ha una qualifica viene sfruttato
Lino è a tutti gli effetti un “cervello in fuga” anche se over 60, come dimostra il suo curriculum, che oltre a una laurea in ingegneria civile e vari master di specializzazione, vanta la conoscenza di cinque lingue e ruoli apicali in diverse imprese, con lavori perfino in Africa, fino all’incarico di direttore tecnico in una grossa impresa di Bergamo dal 2005. Con la crisi del settore delle costruzioni e dei lavori autostradali però l’azienda va in concordato preventivo e poi in liquidazione, e Lino si ritrova a piedi, non più giovane, prima in cassa integrazione e poi in mobilità. Tuttavia non si perde d’animo: ha una famiglia, dei figli, il bisogno di lavorare. Con il concorso vinto negli anni Novanta, comincia a fare il docente nelle scuole superiori, oltre a dei piccoli lavori di consulenza, almeno per non stare fermo e interrompere la mobilità.
“Tutto diventa enormemente più difficile per chi ha superato i 50 anni o peggio per chi come me in mobilità ha superato i 60 e deve aspettare i 68 per avere una pensione che non sarà più adeguata. Ma nel frattempo cosa si fa? I mutui, la famiglia? – si chiede Lino -. Nel mio caso mi hanno detto che costo troppo, ma io ho cercato anche lavori di livello inferiore, l’importante era lavorare”.
In Italia, nonostante il curriculum, l’unica opportunità che si è presentata a Lino è stata quella dell’insegnamento. Una soluzione tampone, che però non può durare per molto. “Il settore costruzioni è completamente fermo, per persone come me qui non c’è mercato, le aziende cercano i giovani per sfruttarli, oppure attendono di vincere un appalto per assumere personale. Ho anche pensato di tornare in Africa, ma poi alcuni conoscenti e colleghi mi hanno parlato della Germania, mi hanno detto che poteva esserci possibilità per figure come me e che avrei potuto lavorare nel settore della bioedilizia”.
Quello che ho notato è che gli immigrati, anche quelli più istruiti, occupano posizioni ben al di sotto delle loro capacità e delle loro qualifiche
Così Lino a fine giugno 2017 si trasferisce a Stoccarda, dove frequenta un corso di tedesco per livello B1 e B2, seguito da un minimaster dell’Accademia ingegneri per conoscere il sistema delle costruzioni tedesco. Tutto questo però non è bastato a inserirsi nel mercato del lavoro: “Pensavo di essere avvantaggiato dalla conoscenza di altre lingue – continua – ma anche per posizioni di minore responsabilità occorre parlare e scrivere in tedesco in modo perfetto, ci vorrebbero anni anche per un giovane. E quello che ho notato è che gli immigrati, anche quelli più istruiti, occupano posizioni ben al di sotto delle loro capacità e delle loro qualifiche”. La Germania, insomma, non è il paradiso del lavoro, e questo nonostante il boom del settore costruzioni, che rispetto all’Italia è molto attivo e ha progetti di sviluppo per i prossimi decenni. “In Germania ci sono tantissimi italiani, ma non solo giovani – racconta Lino -. Sono le generazioni venute negli anni ’60 e ’70 ed ora in pensione oppure persone che in Italia avevano un lavoro qualificato, dirigenti o ex imprenditori falliti che hanno perso tutto. Si vergognano di rimanere nel proprio paese, che non li aiuta, di farsi vedere disoccupati o falliti. Allora vengono qui, e accettano qualsiasi lavoro, anche i più umili, pur di fare qualcosa”.
Lino però ha deciso di non accontentarsi, quindi ad aprile ha fatto di nuovo le valigie ed è partito per la Francia. “In Germania avevo la possibilità di fare il postino nell’attesa di imparare meglio il tedesco, ma con che prospettive avendo una famiglia alle spalle? Se fossi stato giovane sarei rimasto, ma non posso, mi sono sentito svilito”. La rabbia però, riguardando il suo percorso, c’è ed è tanta. Verso i falsi miti della Germania, ma soprattutto verso il suo paese, l’Italia: “L’Ufficio del lavoro in Italia è semplicemente inutile, un carrozzone economico che serve solo a chi ci lavora dentro se paragonato alle analoghe agenzie del lavoro degli altri paesi europei più civili. In Germania come in Francia, gli equivalenti centri per l’impiego forniscono servizi che in Italia sono impensabili, come un consigliere che guida nella ricerca del lavoro, corsi di formazione e minijob di 450 euro mensili che poi possono essere integrati con l’aiuto dello Stato. In Italia non esiste nemmeno un sito internet strutturato adeguatamente”. Il dito è puntato anche verso lo stato delle cose in Italia: “Nel Nord Europa ci sono progetti di sviluppo fino al 2030, nel nostro paese è tutto fermo, le grandi imprese di costruzione italiane fatturano il 90 per cento all’estero. E così i migliori imprenditori del made in Italy falliscono o vanno oltreconfine”.