La soddisfazione per le misure in favore dell’autoproduzione di energia pulita, secondo le ong ambientaliste a compensare la delusione per obiettivi considerati troppo modesti. Che pure preoccupano i produttori italiani
Luci e ombre sull’accordo tra i rappresentanti dell’Europarlamento e del Consiglio Ue sulla nuova direttiva rinnovabili, che aggiorna il quadro normativo europeo al 2030. Entro quell’anno le rinnovabili dovranno coprire almeno il 32% dei consumi finali di energia (anziché il 27% proposto inizialmente) e il ruolo dei cittadini nella produzione di energia pulita diventerà centrale attraverso incentivi e agevolazioni.
L’accordo, arrivato alla vigilia della Giornata mondiale del Vento (dedicata alla promozione dell’eolico) che cade il 15 giugno, dovrà ora ricevere il via libera formale di Consiglio e Parlamento Ue. Il primo passaggio è quello che nasconde più insidie, a causa della resistenza di alcuni Paesi, soprattutto il blocco di Visegrad (Ungheria, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca) che vorrebbe restare al 27%.
L’intesa fin qui raggiunta potrebbe dare slancio al negoziato per la direttiva sull’efficienza energetica, che sembrava ormai naufragato. “Finalmente i cittadini europei potranno diventare produttori di energia – ha spiegato il ministro dell’Ambiente Sergio Costa – e questo cambierà il modello produttivo, che sta già subendo dei progressi nel settore delle rinnovabili”. La soddisfazione per le misure in favore dell’autoproduzione di energia pulita, però, non basta per le ong ambientaliste a compensare la delusione per obiettivi generali dell’Ue considerati troppo modesti.
IL RUOLO DEI CITTADINI – Se l’accordo si trasformerà in una nuova legislazione, cittadini e gruppi di cittadini potranno generare energia per il proprio consumo, immagazzinarla e vendere la produzione in eccesso, senza alcun addebito o tassa fino al 2026, con alcune eccezioni limitate previste solo successivamente.
Un aspetto sottolineato anche da Greenpeace. L’organizzazione, infatti, sottolinea che l’accordo “mette al bando (come chiesto dal Parlamento europeo nella negoziazione con gli stati membri, ndr) le sanzioni che alcuni Paesi hanno introdotto per impedire ai propri cittadini di partecipare alla transizione energetica”. In Romania, ad esempio, ai cittadini che vogliano vendere in rete l’energia che producono viene richiesto di fondare un’impresa e di corrispondere specifici requisiti fiscali. In Spagna, invece, la sun tax (che Teresa Ribera, neo ministro dell’Energia nel governo socialista di Pedro Sanchez, ha già annunciato di voler eliminare, ndr) impedisce la produzione diffusa di energia rinnovabile attraverso un sistema di tariffe onerose e ostacoli burocratici.
Per la prima volta, inoltre, si riconosce il ruolo giocato dalle cooperative energetiche nella transizione energetica, rendendo più semplice per le persone realizzare i loro progetti nel campo delle rinnovabili e garantendo loro tutele contro il dominio dei mercati da parte delle grandi compagnie. “Come dimostrato in un recente studio – aggiunge Greenpeace – i progetti gestiti dalle cooperative energetiche garantiscono alle economie locali guadagni otto volte superiori rispetto a progetti analoghi, gestiti però da una grande utility”.
LE ALTRE NOVITÀ – L’accordo introduce anche criteri di sostenibilità per l’impiego delle biomasse forestali e prevede l’avvio di un processo graduale per eliminare l’impiego di olio di palma nei biocarburanti entro il 2030. Il target di rinnovabili nei trasporti viene fissato al 14% al 2030, con la quota di biocarburanti avanzati (ossia prodotti da residui) e di biogas che dovrà essere almeno dell’1% nel 2025 e del 3,5% nel 2030.
I biofuel di prima generazione, quelli prodotti da colture alimentari, in nessun caso potranno superare il 7% dei consumi finali dei trasporti su strada e su rotaia. Novità anche per i sistemi di incentivi nazionali, con regole armonizzate a livello Ue e il divieto di modifiche retroattive ai regimi di sostegno.
LE ONG: “OBIETTIVO NON ADEGUATO” – Ma se i pannelli solari potranno presto coprire milioni di tetti in tutta Europa, secondo Greenpeace i governi europei hanno frenato gli sforzi del Parlamento per aumentare il peso delle rinnovabili nel sistema energetico europeo, rigettando importanti misure di garanzia contro gli effetti nocivi delle bionergie e dei biocarburanti e fissando l’obiettivo di crescita delle rinnovabili al 32%.
“È Troppo basso e permette alle grandi compagnie energetiche di restare ancorate ai combustibili fossili o a tecnologie rivelatesi false soluzioni rispetto al cambiamento climatico”, ha dichiarato Sebastian Mang, consulente energia di Greenpeace Ue. Altra lacuna: “L’accordo consentirà ai Paesi e alle imprese di continuare a classificare come rinnovabili alcune bioenergie non sostenibili, spianando la strada all’abbattimento di altri alberi e alla deforestazione di foreste pluviali per la produzione di biocarburante che alimenterà centrali elettriche, stabilimenti industriali e autoveicoli”.
Anche il Wwf attacca il target “incoerente con gli impegni presi nell’accordo per il clima di Parigi” e le regole “su biocarburanti e biomasse che finiranno per aumentare le emissioni climalteranti”.
I PRODUTTORI ITALIANI CHIEDONO PROVVEDIMENTI PER RAGGIUNGERE GLI OBIETTIVI – E mentre gli ambientalisti parlano di obiettivi troppo bassi, i produttori italiani si preoccupano di come raggiungerli. Non mancano problemi, infatti, nei vari settori dell’energia pulita lasciati spesso senza strumenti. I produttori del Coordinamento Free (Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica) e dell’Anev (Associazione Nazionale Energia del Vento), rivendicano di essere stati loro a chiedere di innalzare l’obiettivo dal 27% al 35%. “L’accoglimento da parte del ministro Luigi di Maio di questa posizione da parte dell’Italia – commentano le due associazioni – è stato elemento centrale nello spostamento degli equilibri europei sul tema”.
Proprio nei giorni della negoziazione, l’Anev iniziava a fare i suoi conti su quel 35% che avrebbe contribuito, diceva l’associazione “a creare ulteriori 132mila posti di lavoro e 92 miliardi di euro di flussi finanziari nell’economia dell’Ue grazie alla sola energia eolica. Benefici ancora più positivi per l’Italia che ha sviluppato in questi anni una solida industria eolica, ed è diventata esportatrice di questa tecnologia nel mondo”.
Ad oggi, però, le aziende dell’eolico non sono soddisfatte. Intanto per “il mancato accordo sull’efficienza energetica”. E chiedono al governo “provvedimenti concreti” per raggiungere gli obiettivi. Basti pensare che i decreti attuativi per raggiungere gli obiettivi al 2020, che dovevano essere emanati alla fine del 2016 per regolare il periodo 2017/2020, non ci sono ancora. L’associazione delle imprese elettrotecniche, l’Anie, rivela che nei primi 4 mesi del 2018 le nuove installazioni di fonti rinnovabili sono calate del 4% rispetto allo stesso periodo del 2017.
LO STALLO DEL SOLARE TERMODINAMICO – “Un decreto sulle Fonti di energia rinnovabili (Fer) che contenga una parte dedicata al solare termodinamico e che salvi il comparto da uno stallo dovuto alla mancanza di norme” è ciò che chiede al vicepremier l’Associazione nazionale energia solare termodinamica (Anest), che raccoglie le aziende italiane di questo comparto dell’energia solare. In questa tecnologia, tra l’altro inventata proprio in Italia dal Nobel Carlo Rubbia e dall’Enea, la radiazione solare non viene direttamente convertita in energia elettrica (come nel fotovoltaico), ma viene raccolta sotto forma di energia termica, riscaldando dei sali. Il calore può essere conservato e utilizzato anche di notte per produrre energia elettrica, evitando la principale limitazione del fotovoltaico.
“Da giugno 2016, quando è uscito l’ultimo decreto per le Fonti di energia rinnovabile (Fer), scaduto a novembre dello stesso anno senza che ci sia stato il tempo di partecipare alle aste in modo adeguato, non è stato fatto più nulla – ricorda l’Anest – e siamo ormai a giugno 2018”. In questo blocco totale, la situazione per l’intera filiera nazionale è a dir poco drammatica “tra progetti con le autorizzazioni in scadenza – aggiunge l’associazione – soggetti disponibili a finanziare i progetti stanchi di aspettare e aziende italiane a un bivio, aprire stabilimenti all’estero o chiudere”.