Conoscete il Meltdown festival? Trattasi di un appuntamento dedicato alla musica generalmente svolto nel mese di giugno a Londra, presso la Royal festival hall (parte del Southbank centre della City). Sin dagli inizi, nel 1993, è stato curato da musicisti o compositori famosi; sono diversi i nomi di rilievo cui è stata nel tempo affidata la direzione artistica: Laurie Anderson, Nick Cave, David Bowie, Morrissey, David Byrne, tanto per citarne alcuni; nomi altisonanti che hanno contribuito a innalzare il prestigio della rassegna londinese. Ebbene, il Meltdown Festival ci offre l’occasione per parlare ancora una volta di un personaggio caro a queste pagine.
Secondo voi, infatti, a chi è stato affidato il piacevole compito di organizzare la venticinquesima edizione nel 2018? Ma a Robert Smith, naturalmente! Il leader dei Cure è stato chiamato per rileggere a modo suo la manifestazione e, guardando il cartellone, si evince che “The gothfather” si sia dato parecchio da fare!
Il programma che si svilupperà da questa sera (15 giugno 2018 fino al 24) è una dichiarazione d’intenti. In random: Nine inch nails, My bloody valentine, Deftones, Placebo, Manic street preachers, Libertines, Mogwai, The psychedelic furs, The church, And also the trees, Loop, Kristin Hersh, Notwist, The soft moon. Nomi di spicco che troveranno spazio on stage, ma le band saranno più di trenta (qui il programma).
Una rapida disamina sulle scelte del leader dei Cure induce a ovvie riflessioni; a essere state selezionate sono formazioni seminali di un certo sentire, gruppi cresciuti in parallelo ai Cure (come i Furs) quando ancora era possibile scrivere la storia di un certo genere musicale, altre invece sono in parte derivative (come gli And also the trees e i Placebo), mentre band come My bloody valentine e Loop o i più illustri Nine inch nails si sono lasciate “ammaliare” dalle atmosfere sognanti di Smith & co e hanno provato (riuscendoci) ad aggiungere qualcosa “al verbo”.
Robert è storicamente restio a rilasciare interviste, negli ultimi cinque anni quella con James Manning su Time out London è la seconda; ne viene fuori il ritratto di un musicista entusiasta, non esattamente in linea con ciò che da sempre schiere di fan e darkettoni intendono di lui. “Non sono propriamente un goth – tiene subito a precisare – la band a un certo punto è rimasta invischiata in questa storia; erano i tempi in cui suonavo la chitarra con Siouxsie and the Banshees, recitare quella parte veniva naturale, oserei definirla una pantomima, non ho mai preso sul serio la mia appartenenza a quella sottocultura”.
Ora, dopo aver fatto un respiro lungo, riuscite a immaginare il fragore improvviso causato dal crollo di una vetrata in una cattedrale gotica? Ecco, dopo tali affermazioni è questo lo sconquasso suscitato: “Non ho alcun problema con i goth (termine utilizzato all’estero per definire persone che amano vestirsi di nero e ascoltare determinata musica), le persone che ho avuto il piacere di incontrare sono carine e gentili ma per me si è trattato soltanto di una questione teatrale, ribadisce, un rituale per andare sul palco – e conclude dicendo – Come sottocultura, penso sia piena di persone meravigliose, ma non mi è mai piaciuto essere definito goth e nemmeno che la musica dei Cure fosse associata a questa corrente, come potrebbe essere The lovecats una canzone dark”?
Quel che si evince è certamente il distacco di un artista che rifiuta un ruolo cucitogli addosso dall’industria musicale. Che poi il vestito calzi a pennello, poco importa, i toni, seppur garbati, prendono inequivocabilmente le distanze “dall’ambiente”. Dice però altre cose interessanti al riguardo: “Ho frequentato il Batcave (storico locale londinese dove tutto ebbe inizio), in quel periodo ci andavo con Steven Severin (co-fondatore dei Banshees e il compagno di band di Smith nel side project The Glove). Ma siamo capitati una manciata di volte, soprattutto perché il bar era aperto fino alle due del mattino”.
Oltre alla vetrata gotica in frantumi di cui si parlava in precedenza, si provi ora a immaginare il crollo improvviso di “trucco e parrucco del solito darkettone qualunque”. Dopo tali affermazioni, cerone e outfit cadrebbero in pezzi anche a Marilyn Manson!
Bypassando la discutibile ironia e il folklore grottesco, resta il presente di un musicista appassionato, capace di sopravvivere agli anni 80 grazie a un manipolo di album in grado di arricchire la storia musicale inglese e più in generale definire un ambito ancora oggi capace di suscitare emozioni. Non è forse vero che tra le pieghe della storia si cela proprio il futuro?
La direzione artistica del Meltdown, si chiuderà come meglio non si potrebbe. Il 24 giugno, i Cure celebreranno i 40 anni di attività, con un concerto imperdibile al Royal festiva hall, andato peraltro sold out da tempo. Cureaetion 25 non sarà esattamente un live come gli altri: “Suoneremo oltre le due ore e mezza – dice Robert – e proporremo una scaletta differente dal solito, lasciando da parte le hit per concentrarci sull’essenza della poetica dei Cure”. Sarà forse la volta buona per ascoltare autentiche perle sottese (colpevolmente) per troppo tempo?
Focus infine sulle date celebrative della storia dei Cure (1978 – 2018), le quali corrispondono (non a caso) con quelle del post punk. Della serie: “La storia non è un optional e passa proprio da qui”. Il solito dj qualunque – malgrado lo sconquasso della vetrata e il crollo del trucco/parrucco – farebbe carte false per essere presente al concerto.
Vi lascio con le consuete nove canzoni consigliate. Immaginatelo come fosse un disco ideale formato da quattro tracce sul lato a e cinque sul lato b. Buon ascolto.
9 canzoni 9 … dei Cure
Lato A
Lato B
From the Edge of the Deep Green Sea