Una volta portato a termine l’iter per la variante urbanistica, secondo i pm l'imprenditore avrebbe venduto le aeree (acquistate per 42 milioni) al fondo immobiliare Dea Capital Real Estate Sgr, con cui c’era una trattativa in corso per ben 200 milioni. A leggere le carte, per concludere l'affare l'immobiliarista stava spendendo tutte le sue energie, economiche, relazionali e – secondo la Procura – corruttive. Ecco il disegno, i protagonisti e gli interessi del sistema
Una plusvalenza di circa 160 milioni sui terreni dove sarebbe dovuto sorgere lo stadio di Tor di Valle. Era questo il grande obiettivo su cui Luca Parnasi stava spendendo tutte le sue energie, economiche, relazionali e – secondo la Procura – corruttive. Un progetto che, se fosse andato in porto, “poi potrei pure fare il fuggiasco”, come dice il palazzinaro scherzando ai suoi collaboratori. “In estrema sintesi – si legge nell’informativa consegnata dai Carabinieri ai pm – al termine dell’operazione il gruppo facente capo a Parnasi dovrebbe cedere al prezzo di oltre 200 milioni il terreno acquistato a 42 milioni, pagamento peraltro non ancora ultimato. L’aumento di valore è dovuto evidentemente alle autorizzazioni amministrative, tra cui primeggia la variante urbanistica, per la costruzione del Nuovo Stadio della As Roma e del Business Park”. Il ragionamento è semplice: una volta portato a termine l’iter per la variante urbanistica, Parnasi avrebbe venduto i terreni al fondo immobiliare Dea Capital Real Estate Sgr, con cui c’era una trattativa in corso per ben 200 milioni. Ettari acquistati dal costruttore al prezzo di 42 milioni, ma evidentemente rivalutati dalla presenza (o comunque dalla promessa di realizzazione) dell’impianto sportivo e del vicino business park. Dalle intercettazioni è emerso che Parnasi e i suoi stessero stipulando con Dea Capital un “term sheet con previsione della firma preliminare nei prossimi mesi”, evidentemente una volta ultimato l’iter di verifica e approvazione in Campidoglio della variante urbanistica. Il tutto sarebbe dovuto avvenire “in cambio del riacquisto”, da parte di Eurnova delle quote di Ecovillage, un progetto immobiliare promosso anni prima da Parsitalia nel Comune di Marino – alle porte di Roma – quote che nel frattempo “si erano svalutate”. È questo il grande affare che interessava a Parnasi e che ha portato il “gruppo criminale” individuato dai pm romani a corrompere – o tentare di farlo – i vari politici e tecnici coinvolti nella vicenda.
IL DOPPIO GIOCO DI LANZALONE – L’uomo chiave è Luca Lanzalone. L’avvocato genovese, titolare dello studio Lanzalone & Partners, viene nominato presidente di Acea il 27 aprile 2017, ma prima di allora è investito dall’amministrazione capitolina di un mai formalizzato ruolo di consulente su vari temi, fra cui quello dello stadio. Nel frattempo, però, Parnasi tesse il rapporto con il legale genovese e offre al suo studio quelle che gli inquirenti chiamano “utilità”. Fra queste, la ristrutturazione di alcuni fondi, tra cui quello che dovrà contenere le quote Ecovillage. Dal discorso di Parnasi emerge che il primo atto da compiere è far entrare il consulente capitolino nell’affare dei fondi legati a Parsitalia. Lanzalone accetta e gli presenta il suo associato Stefano Sonzogni, che prende subito contatti con gli uomini di Parsitalia, ed Emanuele Caniggia, a.d. del fondo Dea Capital. Dalle carte emerge anche che “Parnasi e i suoi sodali hanno concordato con Lanzalone di affidare ad avvocati dello studio legale di quest’ultimo anche altri incarichi, avvalendosi, almeno in un caso, dell’interpretazione fittizia di un professionista individuato ad hoc per celare i veri contraenti dell’accordo, ossia Parnasi e Lanzalone”. Inoltre, “Parnasi ha promesso a Lanzalone, il quale ha accettato, l’intervento di Luigi Bisignani nei confronti dei giornalisti che hanno pubblicato un articolo non gradito al presidente Acea”. Non è tutto. Proprio sfruttando il suo ruolo nella multi-utility capitolina, Lanzalone tratta con Parnasi il trasferimento della sede Acea dall’attuale via Ostiense al futuro business park di Tor di Valle.
LA VICENDA ECOVILLAGE E LE RICHIESTE A PALOZZI – Per portare a termine la vendita di Tor di Valle, bisogna prima sbloccare la vicenda non facile del Comune di Marino. Qui c’è un sindaco M5S, Carlo Colizza, che blocca la variante urbanistica necessaria allo sblocco dell’affare. Parnasi è molto infastidito e cerca una via d’uscita. A Lanzalone spiega la situazione, ovvero che “Unicredit e Dea Capitale sono azioniste del fondo interessato all’operazione, di possedere 15 milioni di quote e di essere costretto a ricomprarne 80 da Dea Capital”, che il “fondo ha un passivo di 40 milioni dovuto al finanziamento con Banca Intesa e Unicredit” e che “per la costruzione dei fondi che dovranno gestire lo stadio sta interloquendo con diverse Sgr, fra cui la milanese Prelios“. Bisogna però avvicinare il sindaco Colizza e convincerlo. Da anni, il politico più influente a Marino e nei Castelli è il forzista Palozzi. C’è la corsa alla Regione Lazio e “Adriano tuo” punta a fare il pieno di voti in Consiglio regionale con una campagna elettorale faraonica alla quale Parnasi contribuirà con 25mila euro versati irregolarmente sul conto della società di comunicazione Pixie Social Media srl, con la promessa di ottenere competenze nell’Urbanistica nell’ambito del prossimo governo regionale. “Il sindaco lo conosco bene – dice Palozzi – non c’ha nessun problema, è uno di centrodestra, sportivo pure nei ragionamenti”. Il problema, secondo l’azzurro, sarebbe la maggioranza che “lo mandano a casa subito”. Bisogna dunque trovare “una mediazione, una riduzione di cubatura”. Quindi Parnasi taglia corto: “Questa operazione deve andare in buca, perché è chiaro che ci dobbiamo lavorare a un certo livello. Nel momento in cui lo faranno farò dire a miei che sono tutti all’opposizione, è quello che abbiamo sempre sostenuto, pronti a sostenere al Consiglio se ti mancano i numeri”. “Non serve nemmeno che me lo dici”, replica Palozzi.
LA PROPOSTA DI “BATTESIMO” AL PRESIDENTE DELLA CASSA FORENSE – Parnasi evidentemente non vuole pagare per riacquistare le quote di Ecovillage. Chi lo potrebbe fare? L’idea, che arriva parlando con il faccendiere Luigi Bisignani, è quella di coinvolgere la Cassa Forense, presieduta da un contatto comune, Nunzio Luciano, candidato in Parlamento con Forza Italia. La proposta sarebbe quella di finanziargli la campagna elettorale in cambio di questo investimento da parte della Cassa degli Avvocati. “Lo porti da Gianni e lo battezzate”, dice Parnasi a Bisignani. Il costruttore incontra Luciano e gli espone l’affare. L’interlocuture “sembra accettare la proposta – scrivono i militari nell’informativa – ed afferma che ne dovrà discutere con i suoi colleghi e collaboratori all’interno della Cassa”. In estrema sintesi, si legge, “per convincere il suo interlocutore, consiglia allo stesso di sfruttare i rimanenti anni nell’incarico di presidente della Cassa ed il potere derivante da tale carica, così da salvaguardare i propri interessi anche nel periodo successivo”. In tale ambito, “dopo avergli riferito che l’operazione sarà funzionale al raggiungimento di tale obiettivo, in più occasioni Parnasi si offre di aiutare Luciano ad allacciare rapporti utili alla sua crescita professionale e a capitalizzare al meglio il periodo di mandato”.
L’OLIO ALLA MACCHINA STADIO – Resta evidente come la conclusione positiva della variante urbanistica sullo stadio fosse decisiva per il progetto più importante, l’affare sui terreni da acquistare e vendere ai diversi fondi di investimento. Ma l’iter burocratico non si sarebbe dovuto interrompere. È per questo che Parnasi, secondo gli inquirenti, costruisce una “serie di contatti” dove va ad avvicinare i vari personaggi influenti nelle diverse amministrazioni, travalicando a volte i limiti della legalità. Come con Michele Civita, ex assessore della Regione Lazio, che si dimostra favorevole al progetto stadio e lavora per superare le criticità relative all’assenza del Ponte di Traiano, salvo poi – concluso il suo mandato di assessore e fallita la ricandidatura – chiedere un posto di lavoro per il proprio figlio. Poi ci sono gli esponenti del M5S, come il capogruppo capitolino Paolo Ferrara, a cui Parnasi ha promesso la realizzazione di un progetto di riqualificazione del lungomare di Ostia sperando nel suo ruolo come “uno dei massimi referenti a livello comunale per quanto concerne l’iter autorizzativo”; o come l’assessore municipale Giampaolo Gola, a cui “Parnasi ha promesso di reperirgli una collocazione lavorativa nella compagine sociale dell’As Roma, settore commerciale”, mentre Giulio Mangosi si prestava gratuitamente a supportare, sul fronte comunicativo la campagna elettorale di Roberta Lombardi, su richiesta (probabilmente) di Marcello De Vito, presidente dell’Assemblea Capitolina.
I POSSIBILI VIZI TECNICI – Poi ci sono i tecnici, quelli che sulla “spinta corruttiva” potrebbero – secondo una prima interpretazione di alcuni esponenti capitolini – aver viziato irreparabilmente la procedura per l’approvazione della variante urbanistica. Quello relativo all’inchiesta che coinvolge il Soprintendente ai Beni Culturali di Roma, Francesco Prosperetti, sui cui atti il Ministero sta già indagando. Oppure quelli a firma di Daniele Leoni, funzionario del Comune di Roma – Dipartimento Urbanistica – il cui parere sugli oneri di compensazione (applicare l’indice territoriale piuttosto che l’indice fondiario) inizialmente si contrappone a quelli che sarebbero gli interessi del proponente, mettendolo nero su bianco con un atto protocollato il 22 novembre 2017. Una settimana dopo, il 29 novembre, Leoni e Caporilli – uomo di Parnasi – si mettono d’accordo affinché da Eurnova arrivi un bonifico di 1.500 euro sul conto della Fondazione Sullo, riconducibile al funzionario, pagamento che giunge regolare il 1 dicembre. “Adesso stanno rettificando il calcolo”, dice Caporilli ai suoi sodali. E così fu.