“Stop all’intitolazione di strade di Roma ad esponenti politici con idee riconducibili al disciolto partito fascista o persone che si sono esposte con idee antisemite e razziali”. Il giorno dopo la clamorosa approvazione in Assemblea Capitolina della mozione di Fratelli d’Italia (26 voti a favore di cui 17 del M5s) che impegna il sindaco di Roma a dedicare una strada al leader dell’Msi Giorgio Almirante, il Campidoglio prova a metterci una pezza. Ricevuta con una certa sorpresa la notizia durante le registrazioni della puntata di Porta a Porta, Virginia Raggi ha poi preso in mano la situazione e ha preteso che si continuasse il percorso di memoria storica iniziato con le commemorazioni per il rastrellamento del Quadraro e per il 25 aprile, attraverso un provvedimento che la vedrà come prima firmataria e che dovrebbe vedere protagonista il gruppo pentastellato capitolino al completo. “Nella mozione – si legge in una nota del Campidoglio – si ricorda l’articolo 12 delle disposizioni finali della Costituzione che vieta la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista e la legge 645/1952 che sanziona chi svolge propaganda razzista o esalta esponenti, principi, fatti e metodi propri del partito fascista, denigrando la democrazia e i valori della Resistenza”.

Dunque Virginia Raggi che si mette contro i suoi consiglieri? O un intervento richiesto dall’alto? Niente di tutto questo, bensì, secondo gli eletti M5s che ora si dicono “rammaricati”, è stato “un semplice quanto grossolano errore”. In che senso? Il clima in Assemblea Capitolina, giovedì 14 giugno, era piuttosto teso. Lo scandalo e gli arresti sulla vicenda dello Stadio della Roma hanno provato non poco il Consiglio comunale, andando a minare le certezze del gruppo pentastellato che ha dovuto assistere alla sospensione del proprio capogruppo Paolo Ferrara, anche lui indagato nell’ambito della stessa inchiesta. L’Assise era rimasta ferma per alcune ore, in attesa del palesarsi in Aula della Raggi, che però non è mai arrivata. Il presidente dell’Aula, Marcello De Vito, prima di chiudere i lavori – i gruppi di centrosinistra erano già usciti – ha messo in votazione alcuni debiti fuori bilancio da approvare il prima possibile.

A un certo punto, ha preso la parola il capogruppo Fdi Fabrizio Ghera, all’ultima seduta capitolina – si è dimesso per concentrarsi nel suo nuovo ruolo di consigliere regionale – che ha chiesto di poter far votare una mozione come “mio ultimo atto in questo consiglio”. Ma dalla maggioranza l’attenzione era bassissima. Ghera ha quindi esposto brevissimamente l’atto, De Vito lo ha messo in votazione e dai banchi della maggioranza sono arrivati i 23 sì, di cui 17 del Ms5 (2 astenuti e 1 contrario). L’unica a votare in maniera negativa tra i 5 stelle è stata Maria Agnese Catini, che ha difeso i colleghi: “Ho sentito a malapena cosa si stava votando”, ha detto a ilfattoquotidiano.it, “era un provvedimento fuori sacco. Appena ho capito di cosa parlava la mozione, ho subito dato il mio No. Ma non ho avvertito i colleghi, e su questo forse ho peccato di ingenuità”. La ricostruzione ha ottenuto conferme sia in maggioranza che in opposizione. E da sinistra hanno commentato: “Non sappiamo cosa sia più grave, a questo punto”. Ventiquattro ore dopo però, la sindaca ha presentato l’atto per rimediare.

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