“C’è un accanimento mediatico perché sono donna, sono del Movimento 5 Stelle, sono scomoda ma non sono lo sfogatoio d’Italia e questo accanimento deve finire”. In un’intervista rilasciata ieri sera a Porta a Porta, la sindaca Virginia Raggi ha commentato “l’oltraggioso accanimento mediatico” per l’inchiesta sullo Stadio di Roma, definito sulla stampa come “sistema Raggi”.

Virgina Raggi ha ragione, Virginia Raggi ha torto.

Ha ragione quando pensa che le donne paghino un prezzo molto più alto degli uomini quando si espongono politicamente e assumono ruoli istituzionali o di responsabilità. Quando entrano nelle stanze del potere nulla sarà loro perdonato: errori o presunti errori. E nulla sarà dimenticato. Sono trascorsi appena due anni dalla sua elezione a sindaca di Roma e la domanda del quotidiano Libero “Ma saranno capaci?” riferito a lei e a Chiara Appendino, allora neoeletta sindaca di Torino, era un pregiudizio collettivo. “A moretta”, “la ragazza”, “la bambola, “la bambolina” fu il benvenuto che le rivolse la stampa italiana. Che sarebbe stata messa sotto la lente d’ingrandimento e che ogni passo falso, ogni errore (che è inevitabile commettere) avrebbe pesato il doppio perché era una donna, era cosa nota. E spero che la sindaca l’abbia messo in conto.

Gli errori e le gaffe li avrebbe pagati duramente ma è anche vero che li ha commessi. Come lo scivolone durante l’intervista rilasciata a Bruno Vespa. Non sapeva nulla della mozione approvata dal suo Consiglio comunale per dedicare una strada a Giorgio Almirante, il massacratore di partigiani. Presa in contropiede e visibilmente imbarazzata ha dato una risposta goffa: “Rispetto la decisione del Consiglio comunale che è sovrano come il Parlamento” per fare marcia indietro qualche ora dopo (per fortuna!). Quale impressione lascia una sindaca che non sa che cosa avviene nel suo Consiglio comunale?

Scivoloni ed errori a parte, il riferimento alla discriminazione sessista nelle ore successive all’inchiesta che ha toccato anche il suo partito, appare tardiva e strumentale perché Virginia Raggi non ha mai fatto delle disparità di genere una questione fondante della sua politica. E’ stata indifferente al tema del deficit di cittadinanza tra i generi, né si è impegnata particolarmente contro lo sdoganamento della peggiore cultura sessista anche in forme violente, fatta nei confronti di donne della politica e delle istituzioni.

Nella violenza delle parole hanno giocato un ruolo pesante sia Matteo Salvini che Beppe Grillo. Due uomini che non si sono fatti scrupolo di rafforzare la sottocultura machista, sdoganando il peggio del peggio, e fornendo un apporto tutto personale all’hate speech. Quel’hate speech che ha colpito anche la sindaca della capitale quando Libero le dedicò il titolo “Patata bollente”. Eppure a parte qualche dichiarazione di rito contro la violenza alle donne, la sindaca ha sempre mantenuto un approccio neutro ed ha schivato prese di posizione contro machsimo o in favore di una cultura che valorizzasse e rafforzasse le donne.

Al contrario di sue colleghe, come Ada Colau, sindaca di Barcellona che nell’intervista rilasciata a Concita De Gregorio nel 2016, si dichiarò a favore della femminilizzazione della politica e diede una lettura positiva di un termine solitamente impiegato per svilire e svalorizzare. Disse: “Femminilizzare significa questo, per me: c’è un modo non maschile ma maschilista di fare politica – verticale autoritario di comando – e c’è un altro un modo dove l’autorità non viene dall’imposizione ma dal riconoscimento. Quando gli altri ti riconoscono che sei utile. Per decenni la società maschilista e capitalista ha messo al centro il potere, l’accumulazione, i soldi. Penso che oggi ci siano sempre più donne e uomini pronti a mettere al centro la cura». E’ vero ciò che sosteneva Charlotte Elizabeth Whitton, una politica canadese, che “le donne devono fare qualunque cosa due volte meglio degli uomini, per essere giudicate brave la metà” (Whitton completava la frase dicendo che “per fortuna è facile” ma io aggiungerei che non sempre è così facile) ma è anche vero che le donne devono assumersi le proprie responsabilità.

Se vogliono cambiare le cose, quando siedono sulle poltrone e condividono anche una piccola fetta di potere, spendano la carta della discriminazione per tutte. Soprattutto per le donne che stanno fuori dai palazzi e il potere non lo hanno ma lo subiscono. Se c’è accanimento sessista nel giudicare l’amministrazione di Virginia Raggi che siano altre, o altri a dirlo.

@nadiesdaa

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