L’indagine Istat che riporta il sistema di indicatori del Benessere equo e sostenibile, valutati sulle 110 province e città metropolitane italiane, restituisce l’immagine di un Paese in cui si vanno moltiplicando i divari che l’attraversano, persino superando, in alcuni casi, la tradizionale distinzione tra Sud e Centro–Nord. Oltre alla geografia dei divari tipici della cosiddetta questione meridionale si vanno articolando, in modo non omogeneo, nuove differenze in tutto il Paese, anche entro le macroaree tipicamente più ricche.
Nondimeno, restano in piedi le drammatiche differenze strutturali di sempre. Occorre – qui lo ripeto da anni – investire su settori nei quali si è fortemente depotenziata l’attenzione, come la scuola, l’università e la ricerca. Bisogna attutire gli effetti del federalismo sulle Regioni del Sud, per compensarne gli effetti. Soprattutto in ambiti come la sanità, dove il dato della mobilità ospedaliera suona come una denuncia. Emergono mediamente al Sud la peggior dotazione di servizi e minore speranza di vita, a fronte di redditi significativamente più bassi.
Il pregio di questo rapporto risiede nella possibilità di visualizzare sul territorio l’andamento di ben 61 indicatori statistici, che rendono conto di vari domini tra cui salute, lavoro, benessere economico, istituzioni, paesaggio, qualità dei servizi. Come anticipavo, pur permanendo le differenze strutturali nel Paese, emergono differenze anche sostanziali tra territori limitrofi di una stessa regione e, soprattutto, emerge una articolazione più complessa anche nelle regioni del Centro-Nord.
Ad esempio, permane una differenza di un anno nella speranza di vita alla nascita tra Nord e Mezzogiorno, che, però, arriva a 3,4 anni tra Caserta e Firenze. Nella parte bassa della classifica si collocano le province campane e parte di quelle siciliane. Le province italiane che presentano la maggiore mortalità per tumori sono in Campania e in Sardegna. A fronte di una media nazionale di nove decessi per 10mila abitanti, il Rapporto mostra per Napoli un valore di 11,4. Incidenze superiori a 10 si trovano anche a L’Aquila, Crotone, Vercelli, Biella, Aosta e Pavia.
Il numero di diplomati continua a segnare una marcata distanza tra Mezzogiorno al resto del Paese a fronte di una media nazionale del 60,1%, con poche eccezioni. Le province coi dati peggiori sono quelle meridionali, tra cui Foggia, Taranto, Lecce, Crotone, Trapani e altre province siciliane e sarde.
Cresce la differenza tra la percentuale di laureati nel Centro-Nord e quella riscontrata nel Mezzogiorno. Era del 4,7% nel 2004 ed è arrivata a 8,4% nel 2016. Vi sono al Sud delle eccezioni positive come L’Aquila, Pescara, Cosenza, Vibo Valentia, Campobasso, Isernia, Benevento e Potenza.
Il 24,3% dei giovani italiani di età compresa tra 15 e 29 anni risultava in condizione di completa inattività (Neet) nel 2016. In termini territoriali l’articolazione cambia e
la percentuale degli inattivi diventa del 17% al Nord, del 20,4% al Centro e del 34,2% nel Mezzogiorno. I Neet sono raddoppiati tra il 2004 e il 2016 in alcune province del Piemonte, come Vercelli, Asti e Alessandria, nelle province di Varese e Mantova e a Rovigo. Le province meridionali invece hanno mostrato una crescita più contenuta, pur essendo i valori di partenza già elevati.
Quanto gli indicatori del mercato del lavoro, le aree più critiche del Sud sono Napoli e Caserta, Foggia, Bat, Brindisi e Lecce in Puglia, le Province calabresi e quelle siciliane eccetto Ragusa e parte della Sardegna. Esiste una marcata differenza di retribuzione media dei lavoratori dipendenti. Nel rapporto scopriamo che il reddito medio di un lavoratore dipendente è stato di € 24mila 400 al Nord contro i € 16mila 100 nel Sud nell’anno 2016. Le prime 22 province della classifica del reddito da lavoro dipendente sono tutte nel Nord, a eccezione di Roma.
Il 15,3% dei pensionati del Mezzogiorno nel 2015 non superava i 500€ lordi mensili. Tale percentuale si dimezzava nel Nord, dove risultava pari al 7,9%.
La sicurezza. La peggiore provincia per tasso di omicidi (media italiana 0,7 per 100mila abitanti) nel 2016 è stata Rovigo, che raggiunge un valore di 2,9 seguita da numerose province del Mezzogiorno, tra cui Foggia, Napoli, Nuoro, Vibo Valentia e Trapani.
Dall’indagine emerge che non è omogenea la distribuzione delle discariche sul territorio. Infatti nel 2016 la presenza di discariche autorizzate interessava 75 province su 110 e tale rapporto risulta più alto nel Mezzogiorno rispetto al Nord con 68% contro 60%. La distribuzione più omogenea sul territorio si ha nel Centro del Paese. Accade così che a Crotone nel 2016 sia stata smaltita una quantità di rifiuti urbani pari a sei volte rispetto a quella prodotta dai residenti; a Taranto l’afflusso raggiunge il 238,5% e a Isernia il 197%. Migliora l’incidenza della raccolta differenziata nel Mezzogiorno, con una crescita molto intensa rispetto al resto del Paese. Dal 2004 al 2016 il tasso è passato dal 8% all’attuale 37,6%.
Per quanto attiene allo sviluppo della ricerca e dell’innovazione, il contesto più sfavorevole si conferma il Mezzogiorno dove nel 2016 si registra una perdita netta di 23 giovani laureati ogni mille laureati residenti, con un saldo negativo in tutte le province meridionali. A Foggia sfiora il meno 40‰. Anche la qualità dei servizi si dimostra più svantaggiosa al Sud, in particolare quelli socio-educativi per la prima infanzia.
Nel 2015 la mobilità ospedaliera fuori dalla propria regione ha interessato 6,4 pazienti su 100. Al Sud tale valore raggiunge il 9,3%, contro il 4,4% del Nord.