Il ministro della Giustizia non fa nessun riferimento al caso dello Stadio della Roma, in cui è stato tirato in ballo per aver sostenuto l'ingresso di Lanzalone in Campidoglio: "Lotta al malaffare non è credibile se alla condanna per i reati contro la Pubblica amministrazione non segue un'adeguata pena detentiva"
“I corrotti devono andare in carcere”. Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, tirato in ballo sul caso Stadio della Roma, rompe il silenzio con un post sulla corruzione pubblicato sul blog delle stelle: “I cittadini oggi si aspettano una risposta molto chiara e precisa. Il principio della certezza della pena va ribadito e va tenuto presente per dare una risposta di credibilità“, scrive Bonafede.
Nel suo intervento sul Blog delle Stelle, in cui comunque non fa mai riferimento all’inchiesta romana, il responsabile della Giustizia ricorda come “la prevenzione ed il contrasto alla corruzione è uno dei punti qualificanti del programma di governo. Intendo mettere in campo le misure più risolute per stroncare questo fenomeno”, scrive ancora Bonafede, secondo cui “nessuna lotta al malaffare potrà dirsi credibile se alla condanna per i reati contro la pubblica amministrazione dei cosiddetti colletti bianchi non seguirà un’adeguata o alcuna pena detentiva”.
Il Guardasigilli non è stato toccato direttamente dall’inchiesta ma è considerato l’uomo che ha favorito l’ingresso in Municipio dell’avvocato Lanzalone, come ricostruito dalla sindaca di Roma Virginia Raggi davanti al pm Paolo Ielo. Su questa vicenda Bonafede non ha rilasciato alcun commento, nonostante le pressioni del Partito democratico che – anche tramite Matteo Renzi – ha chiesto al ministro di chiarire la sua posizione davanti al Parlamento. Anche se davanti ai suoi il responsabile della Giustizia avrebbe mostrato “forte irritazione” di fronte ad alcuni titoli di giornali che parlano di “imposizione“, da parte sua, di Lanzalone al Comune di Roma.
Bonafede evita il caso dello Stadio ma sottolinea l’importanza della certezza della pena: “Voglio chiarire che non è incompatibile con la finalità rieducativa della pena stessa. Sono due principi che necessariamente e fisiologicamente convivono, ma il principio della certezza della pena va ribadito e va tenuto presente per dare una risposta di credibilità ai cittadini”, aggiunge il ministro. “Da quella risposta passa la fiducia che i cittadini hanno nei confronti dello Stato italiano nella sua capacità di dare una risposta di giustizia effettiva e sostanziale”.