Lorsica, il borgo delle sete damascate rischia l’abbandono. Sindaco: “Sono scappati tutti. Futuro? Confido negli stranieri”
“Tutte le strade che vedete le ho fatte costruire, per collegare le frazioni più disperse tra i monti a scendere a valle. Ero sicuro che in questo modo i miei concittadini che andavano a cercare lavoro a valle, finendo ad abitare a Chiavari o a Genova, sarebbero tornati qui, non più costretti a percorrere lunghi sentieri a piedi per collegarsi al resto del mondo”. Ripercorre il suo primo mandato da sindaco, nel lontano 1965, l’attuale primo cittadino di Lorsica Aulo De Ferrari, classe 1941, che a distanza di 50 anni confida amaramente: “Quelle strade che dovevano aiutare la gente ad arrivare hanno fatto scappare via tutti”. Sindaco del comune di Lorsica, in Val Fontanabuona in provincia di Genova, dal 1965 al 1980 e ora al terzo mandato, De Ferrari va orgoglioso del suo borgo, celebre in tutto il mondo per la produzione artigianale di sete damascate e le numerose cave di ardesia, “ma con la crisi di entrambi i settori rischiamo di trasformarci nel paese delle case vuote”.
Negli ultimi 50 anni, in effetti, il comune di Lorsica ha perso l’80% dei suoi abitanti, passando da circa 2.000 abitanti delle varie frazioni agli attuali 400. Hanno chiuso tutti gli esercizi commerciali, eppure in paese resiste un agriturismo e la scuola, oltre all’ultimo laboratorio artigianale di tessuti in damasco rimasto in attività, quello di Stefania De Martini: “La fuga da queste campagne è avvenuta soprattutto negli anni ’70 e ’80, a differenza del sindaco penso che negli ultimi anni si stia avvertendo un’inversione di tendenza, la crisi porta le persone a tornare ad apprezzare i pregi della vita di campagna, e spero che le case vuote vengano presto affittate”. “Forse gli antichi abitanti di Lorsica non vorranno tornare – conclude il Sindaco sotto la statua dedicata agli emigranti, che soprattutto a inizio secolo, in cerca di una vita migliore, sono partiti verso le americhe – ma potranno arrivare nuovi abitanti anche da paesi lontani, l’importante è che si innamorino del borgo e vogliano aiutarci a mantenerlo vivo”.