No all’arrivo in Italia delle imbarcazioni che portano il riso dall’Asia, Cambogia e Myanmar in primis. Azioni simili contro il grano che arriva dal Canada. Critiche all’accordo Ceta tra Unione Europea e Canada che, a questo punto, rischierebbe di saltare se l’Italia decidesse di non ratificarlo. È quanto dichiarato da Matteo Salvini in un’intervista al Corriere della Sera, dopo averlo anticipato due giorni fa al villaggio Coldiretti di Torino: “Non distinguo tra barcone e barcone: è giusto dire no al traffico di esseri umani e sono pronto anche a dire no a qualche nave che ci porta riso e cibo contraffatti”.
LA GUERRA AL RISO CAMBOGIANO – Si tratta di tre temi molto delicati, che si intersecano tra loro e che potrebbero avere degli sviluppi anche sul piano europeo. Partiamo dal riso asiatico. A marzo scorso la Commissione europea ha annunciato l’apertura di un’inchiesta su volumi e prezzi delle importazioni di riso da Cambogia e Myanmar. La decisione è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Ue a un mese dalla presentazione da parte dell’Italia (governo Gentiloni), con il sostegno di altri sette Paesi, di una domanda per l’attivazione della clausola di salvaguardia a tutela dei risicoltori europei. “La liberalizzazione delle importazioni dai Paesi meno avanzati (Pma), avviata a settembre 2009 – denunciava a inizio 2018 Confagricoltura – ha provocato un graduale aumento delle importazioni, che hanno raggiunto il loro apice nella campagna 2015/2016 con 1,239 milioni di tonnellate di equivalente riso lavorato”. Dal 2012 al 2017 le quote di mercato di riso proveniente da Cambogia e Myanmar nell’Ue sono salite rispettivamente dal 13% al 21% e dallo 0% al 5%. La Cambogia è diventata il primo fornitore verso la Ue, con quasi metà di importazioni totali di riso Indica lavorato e semilavorato verso la Ue.
LA CRISI DEI PRODUTTORI – Effetto di queste importazioni è stato un calo consistente del prezzo del prodotto europeo. Una crisi che mette a rischio, in Europa, il primato nazionale dell’Italia, primo produttore con 1,50 milioni di tonnellate su un territorio coltivato da 4mila aziende su una superficie totale di 234.300 ettari, che copre circa il 50% dell’intera produzione dell’Unione europea. La Coldiretti ha definito l’apertura dell’inchiesta “un passo importante e urgente nei confronti dell’invasione di riso da Paesi come la Cambogia e la Myanmar, da dove nell’ultimo anno in Italia sono triplicate le importazioni arrivando a quota 22,5 milioni di chili”. Il risultato è che un pacco di riso su quattro venduto in Italia contiene prodotto straniero con la produzione asiatica che rappresenta circa la metà del riso importato in Italia. Secondo la Coldiretti nell’ultimo anno la concorrenza a dazio zero dall’Asia, con prezzi al di sotto del costo di produzione del riso di origine europea, ha reso impossibile competere ad armi pari, facendo contrarre i prezzi riconosciuti agli agricoltori italiani del 58% nel caso dell’arborio, del 57% per il carnaroli, del 41 % per il Roma e del 37% per il vialone nano. La Commissione europea ha annunciato che l’inchiesta durerà un anno e dovrà verificare se le importazioni delle campagne di commercializzazione degli ultimi cinque anni, vale a dire il periodo dal 1 settembre 2012 al 31 agosto 2017, abbiano effettivamente causato “gravi difficoltà” ai produttori europei. Se ciò verrà accertato, allora potrà essere applicata la clausola di salvaguardia a tutela del settore, misura che può durare fino a tre anni, salvo proroghe.
LE CRITICHE AL CETA, CHE RISCHIA DI SALTARE – Ma il ministro Salvini se l’è presa anche con Ceta. “Legittima la contraffazione dei prodotti italiani, apre il mercato ai parmesan, alle mozzarille e al grano canadese, sulla cui qualità è legittimo qualche dubbio” ha detto. Anche il ministro delle Politiche agricole Gian Marco Centinaio ha annunciato di non voler ratificare l’accordo commerciale tra Unione europea e Canada. Una decisione che, tra l’altro, sarebbe sostenuta da diversi schieramenti politici, tra cui il Movimento 5 Stelle. Le conseguenze sarebbero immediate. Il Ceta, infatti, è un accordo misto. Al momento è applicato in modo provvisorio solo per quelle parti a competenza Ue e non degli Stati membri. In pratica è in stand by solo la parte degli accordi che riguarda gli investimenti e che necessita della ratifica dei 28 Stati membri e poi dell’Unione (il Canada ha già firmato il 16 maggio 2017). I singoli Paesi, dunque, hanno una sorta di veto sulla piena attuazione dell’accordo. In caso di mancata ratifica dell’Italia, l’intesa salterebbe e ne verrebbe revocata anche l’applicazione provvisoria per quanto riguarda le misure di politica commerciale, tra cui l’azzeramento dei dazi, scattata il 21 settembre 2017. A confermarlo è stato, il 1 marzo 2017, lo stesso commissario europeo per il Commercio, Cecilia Malmström, rispondendo all’interrogazione di un eurodeputato. Tutto ciò potrebbe fermare, anche per il futuro, la nascita di accordi misti che, a causa dei lunghi tempi per arrivare alla ratifica di tutti gli Stati, rischiano di non vedere mai la luce.
IL GRANO CANADESE – Il Ceta, tra l’altro, prevede l’azzeramento strutturale dei dazi per l’importazione dal Canada del grano “dove – denuncia Coldiretti – viene fatto un uso intensivo di glifosato (vietato in Italia) nella fase di pre-raccolta”. In Italia sono diverse le manifestazioni degli agricoltori contro l’arrivo di tir stracolmi di grano duro estero. È la cosiddetta guerra del grano. Nel frattempo, però, qualcosa è avvenuto. I dati disponibili restituiscono la fotografia della situazione a pochi mesi dall’applicazione dell’accordo commerciale tra Ue e Canada. Secondo i dai pubblicati dall’Istat non si è registrata nessuna invasione di grano, mentre è volato l’export con un incremento del 9 per cento. “Tra ottobre e dicembre 2017 – segnala la Cia-Agricoltori italiani – l’approvvigionamento di grano canadese è diminuito del 35%, confermando la tendenza degli ultimi anni”. Secondo un’analisi di Coldiretti, sempre su dati Istat, sono risultate azzerate le importazioni di grano duro dal Canada nel gennaio 2018. Dopo molti anni, il Paese nordamericano ha drasticamente perso il ruolo di leader come esportatore di frumento in Italia. “Il cambiamento – secondo la Coldiretti – è stato determinato proprio dal fatto che in Canada il grano duro viene trattato con l’erbicida glifosato in preraccolta, secondo modalità vietate in Italia”. Dati alla mano, però, nel 2017 ne ha esportato ancora 720 milioni di chilogrammi a fronte di 4,3 miliardi di chili prodotti in Italia. Tradotto: un pacco di pasta su sei prodotto in Italia è stato ottenuto con grano canadese.