di Marco Gigante

Quasi non fa notizia che un esponente del Partito Democratico o di Forza Italia risulti coinvolto in un’indagine della magistratura. Per anni, le vicende giudiziarie dei due partiti hanno fatto da protagoniste assolute sulla scena politica italiana, producendo una sempre crescente disaffezione dei cittadini nei loro riguardi. Lo scalpore suscitato, negli ultimi giorni, dall’arresto dell’imprenditore Luca Parnasi e del super consulente della giunta capitolina Luca Lanzalone, sembra però costituire un’eccezione a tale sentimento, in quanto a essere coinvolti nell’indagine sullo stadio romano non sono  soltanto gli esponenti delle forze politiche tradizionali (con l’aggiunta di LeU) ma anche uomini che si trovano in rapporti stretti con il M5s e che da anni collaborano insieme in diverse attività politiche.

L’aggravante per i pentastellati, rispetto agli altri partiti, consiste in particolare in due aspetti: il primo riguarda, come si è detto, l’incrinatura dell’immagine etica del Movimento o più in generale l’incoerenza delle sue scelte politiche; il secondo concerne invece l’incapacità dei vertici nello scegliere con accortezza i propri collaboratori (fatto che si era già verificato con l’insediamento della prima giunta Raggi a Roma), nonché la loro sempre più evidente difficoltà nel prevedere eventuali comportamenti difformi dagli ideali del partito.

L’assenza di una classe dirigente all’altezza degli obiettivi preposti rischia pertanto di condurre i pentastellati verso problematiche gravi, in cui a essere in gioco non è tanto e solo l’identità del Movimento ma anche la sua stessa sopravvivenza. Il fatto che gran parte dell’elettorato a 5 stelle si ponga sotto l’ombra delle scelte e delle priorità del suo leader (con modalità che ricordano più i cori da stadio che una sana e dovuta auto-analisi), l’assunzione a-critica delle posizioni leghiste sul caso Aquarius e un’attenzione morale ristretta quasi esclusivamente al mantenimento di un’immagine integerrima dei propri rappresentati lasciano sempre di più credere che il raggiungimento dell’identità del partito fondato da Beppe Grillo e da Gianroberto Casaleggio sia ancora lontana e che ci sia da fare quindi molta strada prima di giungere a una forma precisa e definita.

Probabilmente è per questo che l’azione di Matteo Salvini è a dir poco debordante in queste prime fasi governative o che, per converso, le decisioni prese dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte o dallo stesso Luigi Di Maio appaiono copie sbiadite delle affermazioni perentorie del leader leghista. Il timore è che fin quando il Movimento 5 stelle continuerà a cedere su molti dei suoi principi ispiratori per andare incontro alle richieste del Carroccio e alla spregiudicatezza politica del ministro dell’Interno, difficilmente potrà dimostrare di governare nell’esclusivo interesse dei cittadini e non anche per il proprio tornaconto personale.

Il mantenimento della sua coerenza programmatica è in tal senso un punto saldo della tanta rivendicata differenza morale dagli altri partiti, che se il  Movimento non riuscirà  a preservare dalla furbizia opportunistica dei suoi avversari e dal gattopardismo 2.0 della Lega (ancora stretta alla non sempre ricordata morsa del leader di FI) potrà rilevarsi un boomerang politico di non poco peso. E se questo si dovesse verificare, allora sì che non ci saranno più né scuse né giustificazioni di sorta che potranno, ancora una volta, assolverlo.

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