L’amministratore delegato di Audi, Rupert Stadler, è stato fermato e preso in custodia dalla polizia. Lo ha reso noto l’ufficio del pubblico ministero di Monaco, lo stesso che una settimana fa aveva accusato Stadler e un altro membro del board di “frode“. Secondo la procura si tratta di un provvedimento necessario perché c’è il “rischio di occultamento delle prove“. Finora Audi non ha rilasciato commenti.
Il manager è indagato nell’ambito del Dieselgate, lo scandalo dei dati falsati sulle emissioni dei veicoli diesel che ha coinvolto la casa automobilistica tedesca (compresi alcuni suoi marchi, proprio come Audi). E che le è costato finora più di 27 miliardi di dollari tra richiami di veicoli, procedimenti giudiziari in oltre 50 Paesi del mondo e sanzioni. L’ultima, di 1 miliardo, decisa dalla procura di Stato di Braunschweig e che Volkswagen ha accettato di pagare, riconoscendo di fatto le sue responsabilità.
Soltanto una settimana fa la procura di Monaco II aveva disposto perquisizioni nelle abitazioni private e negli uffici personali del Ceo e di un altro membro del board. A entrambi, infatti, sono contestati il reato di “frode” e di aver contribuito “all’emissione di certificati falsi“. Ma nel corso delle indagini sui vari filoni del Dieselgate i tribunali tedeschi avevano già fatto irruzione nelle case e nei luoghi di lavoro dei dipendenti Audi in Germania a febbraio, marzo e aprile, compresa la sede centrale a Ingoldstadt. È di inizio giugno, invece, il richiamo di circa 60mila Audi A6 e A7 da parte dell’Agenzia federale dell’automobile (Kba). Un provvedimento diventato necessario dopo la scoperta nei veicoli di un “software illegale” in grado di distorcere i livelli di emissione di gas inquinanti.
Attualmente nell’ambito del Dieselgate sono sotto inchiesta l’ex amministratore delegato di Volkswagen, Martin Winterkorn, e il suo successore Martin Muller, oltre che l’attuale capo del consiglio di sorveglianza del gruppo, Hans Dieter Poetsch, e l’attuale ceo di Volkswagen, Herbert Diess. Lo scandalo è esploso nel settembre del 2015, dopo che l’Agenzia ambientale degli Stati Uniti (Epa) ha accusato Volkswagen di aver equipaggiato 11 milioni di auto diesel, di cui circa 600mila negli Stati Uniti, con un software in grado di truccare il risultato dei testi anti-inquinamento e di occultamento delle emissioni fino a 40 volte gli standard consentiti.