Per il diritto internazionale sono richiedenti asilo, per Israele sono “infiltrati”, ossia persone entrate nel paese non attraverso le frontiere ufficiali. Stiamo parlando di 33mila 562 persone: 26mila 81 eritrei e 7mila 481 sudanesi.
Nell’ottobre 2017 Israele aveva annunciato che avrebbe iniziato a trasferirli verso “Paesi terzi” non espressamente nominati che si erano detti disponibili ad accoglierli. Pur se ampiamente risaputo che si trattava di Ruanda e Uganda, le autorità israeliane non lo hanno mai confermato e recentemente la Corte suprema ha sospeso le espulsioni. Nondimeno, il programma di trasferimenti “volontari” verso l’Uganda, cominciato nel 2013, è andato avanti.
L’espressione “volontari” ha qualcosa d’ingannevole. Le autorità israeliane hanno emesso documenti e fornito rassicurazioni verbali alle persone da espellere, le quali avrebbero ricevuto un permesso di soggiorno per poter lavorare e sarebbero state protette dal rischio di essere rimandate nei Paesi di origine. I richiedenti asilo espulsi verso l’Uganda hanno raccontato però ad Amnesty International di come le promesse israeliane si sono rivelate vuote. Invece di un permesso di soggiorno, si sono ritrovati in condizioni di irregolarità, a rischio d’arresto, senza possibilità di lavorare e in pericolo di essere rimandati nei Paesi di origine, in violazione del principio internazionale di non respingimento.
Il governo ugandese, dal canto suo, ha sempre smentito l’esistenza di un accordo per l’accoglienza delle persone espulse da Israele, rifiutando di riconoscere qualsiasi obbligo nei loro confronti. Amnesty International ha condotto 30 interviste con richiedenti asilo eritrei e sudanesi, alcuni dei quali già espulsi in Uganda, altri ancora detenuti in Israele e uno sottoposto a rimpatrio forzato in Sudan. Nessuno dei richiedenti asilo intervistati ha ricevuto un permesso di soggiorno all’arrivo in Uganda o altri documenti che avrebbero consentito loro di risiedere e lavorare nel Paese.
Le opzioni che Israele mette a disposizione dei richiedenti asilo sono tre:
1. Espulsione verso un Paese terzo.
2. Ritorno nei Paesi di origine.
3. Detenzione a tempo indeterminato.
Manca la quarta, che in realtà sarebbe un obbligo: avere accesso a una procedura equa e funzionante per determinare lo status di rifugiato.
Amnesty International ha esaminato i casi di 262 richiedenti asilo eritrei che hanno ripetutamente fatto domanda d’asilo tra il 2016 e il 2018. La maggior parte di loro ha tentato da una a quattro volte, 18 tra cinque e sei volte, 14 almeno sette volte e sette almeno 10 volte. La percentuale di accettazione delle richieste d’asilo da parte di cittadini eritrei e sudanesi negli stati membri dell’Unione europea è, rispettivamente, del 90% e del 53% mentre in Israele è, rispettivamente, dello 0,1% e dello 0,01%.
Insomma, Israele sta venendo meno alle sue responsabilità di fornire un rifugio a chi, in fuga dalla guerra e dalla persecuzione, si trova già sul suo territorio. Non solo, ma cerca persino di delegare le sue responsabilità a un Paese, l’Uganda, che già ha accolto un milione di rifugiati sud-sudanesi.