L’indagine ha ricostruito l'organizzazione dei "Mercante-Diomede" e "Capriati", i loro rituali di affiliazione, tre tentati omicidi e le relazioni con la Società foggiana e la Scu di Lecce. Il boss durante la lezione di mafia al bar: "Omertà, rispetto e dignità dell'uomo: ecco cosa è importante"
C’erano ancora i “battesimi”, quei riti di affiliazione che istituzionalizzano l’ingresso nella criminalità organizzata. Picciotteria, Camorra, Sgarro, Santa, Vangelo, Tre quartino e così via fino al Diritto al medaglione con catena. Non si vedono neanche più sul Gargano e a Foggia, ha precisato il capo della Dda barese, Giuseppe Volpe. Invece nel capoluogo pugliese funzionava ancora così, almeno secondo l’ipotesi dei magistrati, che lunedì mattina, dopo 12 anni di inchiesta, hanno disarticolato due clan mafiosi attivi a Bari e provincia, i Mercante-Diomede e i Capriati. Centoquattro arresti, compreso il vice presidente provinciale dell’associazione antiracket Fai, Roberto De Blasio. Gli indagati sono 121.
Secondo i pm, l’imprenditore De Blasio si sarebbe “letteralmente infiltrato” nell’antiracket. “Il personaggio è tale – ha spiegato Volpe – che in una intercettazione alcuni sodali dicono “tuo fratello come si è trovato in mezzo ai ragazzi, come ha fatto ad essere ragazzo di Pinuccio il drogato? (Il capo clan Giuseppe Mercante, ndr)”. All’imprenditore, la Dda contesta il reato di associazione mafiosa e dagli atti risulta che il suo ruolo di partecipe nell’organizzazione sia stato formalizzato con un vero e proprio rito di affiliazione.
Oltre ai rituali, durante l’indagine sono la disponibilità di armi anche da guerra, come kalashnikov, e rapporti con esponenti della Società foggiana (con il clan Capriati che era riuscito a “fidelizzare” le famiglie di San Severo) e della Sacra Corona Unita di Lecce. E in più – stando al lavoro degli investigatori – le due famiglie erano riuscite a infiltrarsi nel tessuto economico della città. Da un lato, quindi, un’evoluzione economica, dall’altro gli antichi riti e i consueti metodi per risolvere le questioni interne.
Tra i capi d’imputazione c’è infatti anche il tentato omicidio di Domenico Conte, ritenuto esponente dei Capriati, e arrestato nelle scorse settimane dopo 40 giorni di latitanza seguiti alla vicenda dell’omicidio in strada di un’anziana donna a Bitonto, uccisa durante un agguato a un giovane del clan rivale. I magistrati antimafia contestano anche l’aggressione fisica a un detenuto nell’area passeggio del carcere di Lecce e un altro agguato fallito, risalente al 2011, nei confronti di un affiliato agli Strisciuglio, altro clan del capoluogo pugliese.
La procura ha ricostruito anche come venissero tenute lezioni di mafia in un bar del quartiere Libertà e arrivassero agli affiliati precise disposizioni per evitare guerra tra i clan per impedire l’interferenza agli affari criminali da parte delle forze dell’ordine e continuare a gestire gli affari illeciti sul territorio.
“Questa indagine – hanno spiegato i magistrati – rappresenta un punto di svolta sulla ricostruzione della geografia criminale barese“, evidenziando le ramificazioni dei due clan nell’intera regione, da Bitonto a San Severo, passando per Altamura, Gravina, Valenzano, Triggiano e il Nord Barese.
A capo di tutto – stando all’inchiesta dei carabinieri del Ros coordinata dai pm Giuseppe Gatti, Lidia Giorgio, Renato Nitti e dall’aggiunto Francesco Giannella – c’era Giuseppe Mercante, con potere “di vita e di morte” sui suoi affiliati. Nelle intercettazioni Mercante viene definito “uomo di pace” per la sua capacità di “comporre i dissidi interni al clan e con gli altri gruppi criminali”, hanno spiegato i pm. Durante un delle lezioni al bar, il boss aveva spiegato: “Nella vita tre cose sono importanti: omertà, rispetto, dignità dell’uomo”.
“Bari è una procura di punta nel contrasto alle mafie. Lasciarla priva di una sede, senza gli elementi necessari per sviluppare il proprio lavoro, è gravissimo”, ha detto il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho. Il riferimento del numero uno di via Giulia è al fatto che il Palagiustizia di via Nazariantz, sede della procura e dell’ufficio del Gip-Gup, da ormai tre settimane è inagibile per pericolo di crollo e deve essere sgomberato. Le udienze di rinvio dei processi penali si svolgono per questo in una tendopoli montata dalla Protezione civile regionale.
“Sono qui – ha detto De Raho – per esprimere vicinanza al procuratore Giuseppe Volpe e a tutti i magistrati della Procura di Bari e per ribadire che è necessario al più presto dare una sede a questo ufficio per un contrasto efficace a criminalità particolarmente violente come quella foggiana”.