Stagione agli sgoccioli, ma in sala continua ad uscire ancora qualche cosa di importante. Segnaliamo quindi L’affido (Jusqu’à la garde), opera prima del francese Xavier Lagrande. Un piccolo, compatto e asciutto film che mette in scena gli effetti nefasti di una separazione tra marito e moglie sui propri figli. In medias res assistiamo alla seduta di affidamento davanti al giudice. Il minaccioso e corpulento padre (un incredibile Denis Menochet) strappa l’affido del figlio minorenne ogni due weekend, ma capiamo subito che il suo ambiguo atteggiamento e la violenza che esplode contro il ragazzino (inchiniamoci di fronte ai pianti del piccolo Thomas Gioria perché sembrano veri) celano un desiderio di vendetta verso la sua famiglia che si espliciterà in un finale alla Shining.
Suddiviso in tre parti distinte (un paio di weekend del padre in compagnia del figlio, la festa di compleanno della sorella maggiore e la conclusione in casa), Lagrande toglie ogni fronzolo melodrammatico al racconto e si concentra su una caratterizzazione di psicologie e gesti di rabbia che sembra aver conosciuto di persona; come sul timing accurato e graduale di una drammaturgia intrisa di codici da thriller. Ad ogni esternazione violenta del padre – fattezze da orco così la madre (l’affascinante Lea Drucker) è esile come un’acciuga – si salta sulla sedia. E nel finale ci si accartoccia quasi per non guardare le immagini nonostante sullo schermo non scorra una goccia di sangue. L’Affido ha vinto il leone d’argento per la miglior regia, e il premio per la miglior opera prima al Festival di Venezia 2017. In sala dal 21 giugno 2018 con Nomad e PFA Film.