Thomas Stearns Eliot scrisse che “la tomba è un gran bel posto pieno di intimità, ma non credo che nessuno si abbracci là dentro”. Dipende dalla tomba. Specialmente se la tomba è là fuori. Una storia di questi giorni mi rimanda con la mente indietro ai tempi degli studi scolastici. Ricordo le immagini di due persone arse dalla lava del Vesuvio. Vennero alla luce nella casa del Criptoportico di Pompei durante gli scavi degli anni Venti. L’agiografia fascista li ricorderà come “Gli amanti”. Ricerche recenti hanno attribuito a quei corpi un sesso e un’età. Si trattava di due giovani uomini di circa 20 anni. L’eruzione li sorprese, come tanti in quell’anno 79, dentro una stanza. Dovevano essere uno accanto all’altro. Comunque vicini. Ho spesso provato a immaginare a quale pensiero si fossero aggrappati prima di quell’abbraccio. Di certo sapevano che stavano per compiere l’ultimo gesto della propria vita.
In questo giugno quell’immagine è tornata a tempestarmi. In questi momenti in cui le cronache sono saturate dalle dichiarazioni del ministro dell’Interno e dai leader europei sulla nuova strategia per spartirsi i sopravvissuti, c’è stato un altro ultimo abbraccio. Non in mezzo al fuoco ma in mezzo all’acqua.
Alle 7 di mercoledì 13 giugno la Diciotti, una imbarcazione della Guardia costiera, approda nel porto di Catania. Altra città che di vulcani se ne intende. A bordo c’erano 932 migranti salvati al largo della Libia. Oltre al carico di vivi, la Diciotti portava anche due cadaveri, cadaveri ancora pieni di una vita recente. Quelli di un ragazzo e di una ragazza. Sono morti su un gommone prima che arrivassero i soccorsi. Li hanno trovati abbracciati. Il medico legale dirà che non sono morti per acqua. Non sono annegati. Sono morti di stenti. Prima la ragazza. Poi il ragazzo. Abbracciati. Non so se per lo stesso sentimento finale che spinse duemila anni fa quella coppia di Pompei a morire in un corpo solo. I due somali erano diventati un solo calco modellato dalla traversata del Mediterraneo. Chi ha viaggiato con loro afferma che non si conoscevano. Entrambi provenivano dai lager libici.
Non sappiamo se quell’abbraccio di lui verso lei fosse di conforto, di paura o di rassegnazione. So però che la loro morte è passata quasi inosservata. Da giorni cerco qualche traccia sui giornali.
Qualcosa che dia un senso alla loro morte. Basterebbe un nome. Una storia. Una famiglia. Non hanno avuto nemmeno il privilegio di un tassello nell’agiografia delle migrazioni del terzo
millennio. Non saranno mai “Gli amanti”. Solo i morti abbracciati.
Le due vittime di Pompei sono passati alla storia come farfalle imprigionate per l’eterno nell’ambra. Loro come innominati imprigionati per sempre nell’ombra.