I reperti analizzati in passato per far luce sulla strage di Bologna furono distrutti il 15 gennaio del 2004. E non fu un errore: a ordinarlo, infatti, fu la corte d’Assise d’Appello del capoluogo emiliano. Lo attesa l’ufficio corpi di reato del tribunale bolognese rispondendno a una richiesta dell’avvocato Gabriele Bordoni, difensore di Gilberto Cavallini, ex terrorista dei Nar attualmente a processo con l’accusa di concorso nella strage che il 2 agosto di 38 anni fece 85 morti e 200 feriti.

Il materiale, terriccio da cui furono prelevati campioni per le analisi di laboratorio, era conservato in sei plichi sigillati e un tavolino. La corte ne decise la distruzione dopo l’integrazione della perizia disposta nell’appello del processo principale. “Ma all’epoca erano ancora in corso il processo a Luigi Ciavardini, Cavallini è indagato dal 2000 e poi ci sarebbe stata l’indagine bis che portò alle iscrizioni di Kram e Frohlich: sarebbe stato opportuno e intelligente conservare i reperti, in una vicenda come questa che rimane aperta e nell’ottica di un’eventuale revisione”, dice Bordoni.

A questo punto la nuova perizia chimico-esplosivistica disposta nel processo Cavallini “si potrà fare solo sulle carte, valutando la tenuta scientifica delle affermazioni allora rese”, prosegue il legale. Per il resto erano stati gli stessi periti a dirsi perplessi sullo stato di conservazione delle macerie, che dal settembre del 1980 sono esposte alle intemperie e coperte da una fitta vegetazione, in una caserma della periferia.

Nelle ultime udienze, nell’aula della corte d’Assise di Bologna hanno testimoniato gli ex Nar già condannati per la strage: Luigi Ciavardini, Francesca Mambro Valerio Fioravanti. Alla domanda su come si dichiarasse sulla strage, l’ex leader dei Nar ha risposto:  “Innocente, non l’ho fatto, ma mi hanno condannato. Quando decidemmo di ‘alzare il livello dello scontro’, per usare un’espressione tipica dei brigatisti, non avevamo il progetto politico di costruire una nuova Italia. La nostra era un politica per resistere alle botte che prendevamo e ai morti che subivamo. Noi eravamo sindacalisti di una generazione abbandonata da tutti, facevamo politica all’interno di un gruppo umano. Ci siamo dedicati alla vendetta, che è un surrogato più simile alla giustizia quando non hai nulla. Non facevamo solo azioni negative, ma anche positive: uccidere qualche nemico, ma anche aiutare qualche amico, per non essere dei meri giustizieri”.

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