"Ormai è chiaro che non è una malattia mentale e classificarla come tale può causare una enorme stigmatizzazione per le persone transgender", spiega l'Oms. Invece di rimuoverla del tutto dall'elenco delle patologie, però, è stata spostata nel capitolo delle 'condizioni di salute sessuale', così da "garantire l’accesso agli adeguati trattamenti sanitari"
Sono trascorsi quasi trent’anni da quando l’omosessualità è stata rimossa dalla “enciclopedia delle malattie” stilata dall’Organizzazione mondiale della sanità. Un momento storico, quello del 17 maggio 1990, che ha aperto la strada a un lungo percorso (ancora incompiuto) di conquiste nel campo dei diritti della persona. E che si ripete oggi, con la decisione dell’Oms di rimuovere la transessualità dalla categoria dei disordini mentali dell’International classification of diseases (Icd).
Sentirsi uomo o donna a prescindere dal proprio corpo, quindi, non è più una malattia. E se a dirlo è l’Oms, l’agenzia speciale dell’Onu per la salute, vuol dire che i medici di tutto il mondo inizieranno a smettere di trattare la transessualità come tale. Questo perché l’Icd, che comprende più di 55mila patologie, è considerata un punto di riferimento globale nella sanità e fornisce un linguaggio comune alla medicina. La nuova versione dell’elenco, che ora comprende anche la ludopatia come dipendenza vera e propria, sarà presentata all’Assemblea mondiale della sanità nel maggio 2019, per poi essere adottata dagli Stati membri fino all’entrata in vigore effettiva prevista per gennaio 2022.
“Ormai è chiaro che la transessualità non è una malattia mentale e classificarla come tale può causare una enorme stigmatizzazione per le persone transgender”, spiega l’Oms. Invece di rimuoverla del tutto dall’Icd, però, è stata spostata nel capitolo delle ‘condizioni di salute sessuale’. Perché? Per “garantire l’accesso agli adeguati trattamenti sanitari” che le persone transgender possono richiedere (come le cure ormonali inerenti al percorso di cambio di sesso), spiega Lale Lay, coordinatrice del team che gestisce le problematiche di adolescenti e popolazioni a rischio. L’obiettivo, aggiunge Lay, è quello di “portare ad una migliore accettazione sociale degli individui” e, di conseguenza, “migliorare l’accesso alle cure, perché riduce la disapprovazione sociale”.
La decisione dell’Oms è stata accolta con favore dalle associazioni Lgbtqi, come Arcigay, che ora chiede una “necessaria revisione dell’attuale normativa italiana, per una semplificazione delle procedure ed il rispetto del principio di autodeterminazione della persona“. Secondo il segretario nazionale di Arcigay Gabriele Piazzoni, inoltre, “da oggi chiunque dovrà adeguarsi alla verità scientifica: la transessualità non è una malattia ma una possibilità, libera e legittima, come abbiamo sempre sostenuto”. A parlare è anche l’attivista Lgbt ed ex parlamentare Vladimir Luxuria: “È un segnale positivo che fa capire che chi è a disagio con il proprio corpo anagrafico e lo modifica per armonizzarlo alla sua mente non è un disturbato ma una persona che ha diritto a pari opportunità affettive e lavorative”.