di Francesco Montorio *
Il tema delle scomparsa di posti di lavoro a causa dello sviluppo tecnologico è da tempo trattato, anche su questo blog.
Il caso che ci offre lo spunto per una ulteriore riflessione è quello di Osmu, operaio di 61 anni, licenziato perché dichiaratamente e specificamente sostituito da un robot. Il licenziamento è peraltro avvenuto dopo 30 anni trascorsi nella stessa azienda, presso cui, nel 1991, ha perso anche la mano destra sotto una pressa.
L’impresa invoca il giustificato motivo oggettivo, il cosiddetto licenziamento economico. Nella lettera di licenziamento si legge: “Lei è addetto al posizionamento delle paint cup, ossia dei tappini provvisori sui fusti prima del processo di verniciatura degli stessi. La nostra società, in seguito a una riorganizzazione aziendale e ottimizzazione dei processi produttivi, in data 23 febbraio 2018 ha installato una macchina, denominata Paint cap applicator, che svolge in automatico il medesimo lavoro sino a oggi da lei svolto. E’ stata così soppressa la sua posizione lavorativa”. Inoltre: “Abbiamo valutato la possibilità di assegnarla ad altre mansioni (…). Purtroppo non è stata reperita alcuna, posizione lavorativa vacante (…)”.
Quindi riduzione del personale umano sostituito, come dichiarato nella lettera, da una macchina: ragioni di efficienza, di costi, di utili. Senza alcuna concreta attenzione ai risvolti umani, etici, sociali. Per di più nei confronti di una persona che proprio in quella azienda ha subito la sua disabilità. Su questo punto torniamo poi.
Sul piano strettamente normativo, il dibattito sulle motivazioni che l’impresa deve addurre e provare affinché si possa considerare legittimo un licenziamento oggettivo, alla luce delle normative vigenti e delle interpretazioni della Cassazione, non è semplice. Tutti d’accordo nell’ispirarsi ai principi costituzionali. Quando si tratta poi di declinarli nel caso specifico sorgono interpretazioni diverse.
In linea di massima si può dire che il datore di lavoro deve motivare il licenziamento con una effettiva riorganizzazione, il relativo collegamento funzionale della posizione soppressa e l’impossibilità di ricollocare il lavoratore ad altre mansioni (tutto poi da dimostrare). Delicato e controverso il punto sulle finalità della riorganizzazione. Legittima solo se necessaria a “fronteggiare difficoltà economiche non contingenti” o anche “per una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività dell’impresa”?
Vedremo se ci saranno margini per una conclusione “più felice”. In ogni caso la vicenda di Osmu appare emblematica. Infatti si dichiara espressamente che viene licenziato a seguito dell’istallazione di una macchina che svolge il suo medesimo lavoro: in pratica si assume il lavoratore automatico “Pain cap applicator” e si licenzia il lavoratore umano.
Ancora la Cassazione sezione Lavoro (21 gennaio 2014, n. 1157) ritiene però illegittimo il licenziamento se l’azienda, poco tempo dopo dall’evento, assume altro lavoratore per la medesima occupazione (nel caso i tappini posti sui recipienti). Secondo tale sentenza deve passare almeno un anno tra i due eventi, salvo che si dimostri “l’inevitabilità della scelta, in virtù delle professionalità assolutamente peculiari da acquisire all’azienda”.
Ora, se si ritiene illegittimo il licenziamento qualora la sostituzione avvenga dopo di esso, come può ammettersi il licenziamento causato dalla precedente “assunzione” di altro elemento produttivo (macchina) predisposta proprio per sostituire il lavoratore umano? In questo caso è veramente sufficiente la “professionalità assolutamente peculiare” della macchina? Certo si può dire che una cosa è la mera riduzione di personale altra la sostituzione per motivi di efficienza organizzativa.
Il giudice dovrà però limitarsi a prendere atto che il posto è effettivamente soppresso o potrà valutare questi aspetti: sostituisco il lavoratore meno giovane e disabile con uno (“automatico”) più efficiente, instancabile e, alla fine, di minor costo? Infatti “la decisione imprenditoriale resta tuttavia soggetta al controllo giudiziale sulla effettività della soppressione del posto di lavoro” (esclusa nel caso di sostituzione con un lavoratore assunto per svolgere identiche mansioni, ma a minor costo).
Certo l’impresa deve fare “impresa”. Tuttavia, qualora passasse anche il principio che il robot (o macchina similare) può dichiaratamente sostituire uno specifico lavoratore nelle medesime mansioni immediatamente e senza che ci si preoccupi concretamente di cercare soluzione alternative o integrative per ridurne le conseguenze e far sì che il licenziamento resti appunto quella “extrema ratio” come riconosciuta nel nostro ordinamento, si sarà compiuto un altro passo verso la totale liberalizzazione dei licenziamenti senza più alcun riguardo alla dignità della Persona e al modello di Stato e di convivere civile richiamato dalla nostra Costituzione.
Si torni a una legislazione in maggior sintonia con la Costituzione, si realizzino innovativi sistemi di welfare e si rivedano anche gli orari di lavoro per far fronte a questo “inevitabile futuro”. Dobbiamo costruire nuove relazioni fra gli individui e fra Stato (collettività) e individuo. Dobbiamo evitare sconvolgimenti sociali irreversibili, per farlo dobbiamo metterci tutti, subito e nella stessa direzione a… lavorare.
* Funzionario di un importante gruppo aziendale con una trentennale esperienza maturata presso Società leader, sopratutto nell’ambito della Formazione. Ho tenuto docenze seminariali presso l’Università Insubria di Varese (Scienza della Comunicazione). Ho difeso la Costituzione col Comitato per il No di Milano. Ora realizzo incontri per far conoscere la drammaticità delle leggi di Mario Monti e Matteo Renzi sui licenziamenti individuali e sostenere il ripristino dell’art. 18 per riaffermare la “Dignità delle Persone”. Laureato con lode in Giurisprudenza, sono associato a Giuristi Democratici e Comma2