A causa del numero chiuso, solo un aspirante studente di Psicologia ogni cinque può effettivamente frequentare il corso all’Università di Torino. Da anni gli studenti si battono per dimostrare che il numero chiuso non solo viola il diritto allo studio, ma è anche illegale; per tutti questi anni le risposte dell’Ateneo – a Torino come in tante altre sedi universitarie – sono state elusive per evitare di affrontare il problema. Pochi giorni fa però il Tar del Lazio ha dato ragione agli studenti e ha dichiarato illegale il numero chiuso al corso di laurea in psicologia perché non giustificato né dal tipo di corso e né dal tipo di percorso di inserimento professionale.

Grazie a questa sentenza, dal prossimo anno accademico, tutti coloro che vorranno studiare psicologia a Torino potranno – in teoria – farlo, e anche chi è rimasto escluso l’anno scorso avrebbe la possibilità di iscriversi al corso di studi. Ma, di fronte alla concreta eventualità di avere un numero di matricole ben al di sopra del solito, l’Università di Torino ha deciso di non attivare il corso di laurea per vincoli burocratici e scarsità di risorse. La diretta conseguenza è che chi vorrà studiare psicologia potrà provare a farlo solo andando lontano da casa e/o dal lavoro, e questo, in un Paese dove le borse di studio e i servizi agli studenti fuori-sede sono scarsi, significherà che solo coloro che hanno la possibilità di affrontare ingenti spese potranno provare a perseguire liberamente la propria passione.

Perché una sentenza che impone l’affermazione del diritto allo studio ha trovato una risposta che ne disattende così drasticamente lo spirito?  La ragione è che gli studenti, perseguendo l’affermazione di un diritto loro negato, hanno fatto esplodere le contraddizioni delle tante riforme che si sono succedute in questi anni e che hanno nella riduzione dell’istruzione universitaria il loro filo conduttore.

In questi anni, infatti, il turnover universitario è stato prima bloccato e poi ridotto, ovvero negli ultimi anni sono stati più i professori che sono andati in pensione di quelli che sono stati assunti. Questo è vero anche per l’Università di Torino, dove il reclutamento di nuovo personale ha trovato ostacoli, oltre che nei tagli del Ministero, anche nelle scelte dei vertici di ateneo che, infatti, ha un rapporto studenti per docente tra i più elevati in Italia: circa 39 studenti per un solo docente, come denunciato più volte da studenti, precari e ricercatori torinesi che ancora recentemente hanno chiesto di usare i soldi (che pur ci sono) per assumere nuovi docenti. In altre parole, se è vero che un improvviso picco di iscritti avrebbe messo in crisi qualsiasi ateneo, è anche vero che l’Università di Torino si è fatta trovare particolarmente impreparata per gestire questo imprevisto.

Ma non è finita qui. Discutendo sul che fare dopo la sentenza che vieta il numero chiuso, il dipartimento di Psicologia ha toccato con mano l’esistenza di diversi altri ostacoli. In questi anni, contestualmente al fatto che le risorse per l’Università venivano tagliate e il reclutamento bloccato, il ministero ha dato una rinfrescatina ai criteri da rispettare: i corsi di laurea che non hanno sufficienti docenti per tutte le discipline vengono chiusi. Idealmente questa modifica ai criteri dovrebbe servire a migliorare la qualità dei corsi di studio, ma in un contesto di tagli alle assunzioni questo si traduce in aumento dei corsi a numero chiuso e riduzione dei corsi di laurea.

C’è poi almeno un altro criterio che i docenti hanno considerato quando hanno scelto di non attivare il corso di studi ed è la regola che prescrive la penalizzazione dei corsi con studenti fuori-corso. Sì, perché in questi anni di tagli, due cose invece sono aumentate: la prima è il numero di regole e criteri burocratici a cui l’Università è sottoposta. La seconda, purtroppo meno nota, sono i soldi spesi dallo Stato per la valutazione delle università e che è affidata a una agenzia di nuova istituzione, l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario (Anvur).

Di fronte alla difficoltà di rispettare la sentenza del Tar del Lazio in un contesto di scarsi investimenti nel sistema universitario, l’Università di Torino ha scelto di non assumersi alcuna responsabilità e ha deciso di non attivare il corso di Psicologia il prossimo anno, presentando invece ricorso contro la sentenza del Tar.

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