A proposito di sportività e di libertà in quel di Putinia. Domenica 17 giugno la tv statale Channel One trasmette in diretta Germania-Messico. I tedeschi campioni uscenti sono clamorosamente sconfitti 1-0. Nella concitata diretta del dopo partita il commentatore Kirill Dementyev utilizza un’oscura omonimia per non pronunciare il nome di Alexei Navalny [nella foto], l’oppositore del Cremlino più noto e seguito: 2,2 milioni di seguaci su YouTube e Twitter. Dementyev sostiene che i tedeschi avrebbero dovuto giocare con un pressing molto alto, un po’ come quello del tipo che lo fa in politica. Leonid Slutsky, ex allenatore della nazionale russa e suo partner durante le telecronache, risponde che “sarebbe davvero interessante vedere Navalny giocare a calcio”.

Martedì sera, dopo che la Russia ha battuto l’Egitto di Salah e si è garantita l’accesso agli ottavi, Slutsky annuncia che non potrà più “offrire” i suoi commenti alla tv russa più vista, perché costretto da altri impegni a disertare il Mondiale. Channel One conferma che Slutsky ha nuove responsabilità, quelle legate al suo ingaggio come allenatore della squadra olandese Vitesse. Perciò, dasvidania tovarish.

Ma è davvero questo il motivo della precoce (e inattesa) separazione? O è soltanto una scusa concordata? C’è infatti una regola non scritta nei media russi di Stato: guai a menzionare il nemico principale di Putin. Slutsky ha violato il tabù e per questo paga l’allontanamento, sia pure in modo soft. Ma lui sa quanto possono essere insidiosi e tortuosi i meandri della vita, specie se vivi in democratura. Così si affretta a ricordare un’intervista – apparsa la scorsa settimana sul giornale Argument I Fakty – in cui rivelava che sarebbe andato in Olanda giovedì 21 giugno per assumere il suo nuovo ruolo di capo allenatore. Navalny, tuttavia, è il primo a non crederci: “Sono molto dispiaciuto di aver sentito che Slutsky va via”, ha dichiarato colui che Putin si ostina a non chiamare mai per nome, ma solo “quel personaggio”. Quando il gioco del calcio è anche il gioco delle parti… Il Cremlino è ben determinato a mostrare con questi Mondiali il volto di una Russia amichevole e un’immagine più aperta, mentre Navalny persegue il  lavoro ai fianchi del regime per forgiare una società civile più consapevole dei propri diritti e più battagliera. Piccoli episodi come questo, però significativi, dimostrano quanto sia esile il filo che sorregge la maschera di Russia 2018.

In verità, la scenografia del torneo è ben fatta, gli stadi sono molto belli e funzionali, la gente è assai cordiale. Ha sorpreso persino i temuti tifosi inglesi. A Volgograd, quando è andata in scena la prima partita dei Leoni, contro la debole Tunisia, si sono visti sugli spalti più britannici di quanti dovevano esserci. Il mistero è stato svelato dai giornali locali: erano in realtà tifosi russi “anglofili”. Che indossavano t-shirt british e sventolavano l’Union Jack. Un’anglofilia insospettabile… pure nei cori. Inglesi finti e inglesi veri accomunati da God Save the Queen, “England! England!” e, addirittura, dal più ossessivo e tradizionale (negli stadi) “Don’t Take Me Home!”, “non rimandatemi a casa!”, scandito da fragorosi rulli di tamburo. L’inno di battaglia già sentito nel turbolento Europeo francese di due anni fa, degenerato in violentissimi scontri fra hooligans inglesi e russi che hanno provocato una crisi diplomatica fra Parigi e Mosca.

In questo sdoganamento incrociato (quanto artificiale?), non posso non segnalare una nota dell’agenzia iraniana Isna: le autorità iraniane hanno permesso alle donne di vedere Iran-Spagna nelle zone fan, quelle attrezzate nel Paese per i tifosi che sono rimasti in patria. Una decisione epocale. In occasione del primo match (vinto) sul Marocco 1-0 alle donne era stato vietata la possibilità di partecipare agli eventi sportivi, tanto che negli stadi del Mondiale c’erano state vistose proteste. Certo, è un provvedimento assai limitato: alle donne è stato assegnato il posto nelle zone per famiglia degli stadi Azadi e Takhti di Teheran. Un piccolo passo in avanti lungo la strada dell’emancipazione femminile: il merito, in parte, è dei valenti giocatori che si sono fatti onore.

Confermando che il calcio è politica, cuore, orgoglio, patriottismo. E sport. Comunque, è la prima volta dalla rivoluzione islamica del 1979 che l’accesso nello stadio Azadi è stato legalizzato anche per le donne: “Se tutto va bene, questo potrebbe essere il preludio per l’abolizione generale del divieto per le donne negli stadi”, ha dichiarato all’agenzia Isna l’avvocato riformista Tayebeh Siavoshi. Speremm.

Tornando in Russia, e a Inghilterra-Tunisia, riporto una notizia tristanzuola assai dell’agenzia locale Altitude 102. L’onore e la gioia di essere stato scelto come bimbo “accompagnatore” dei giocatori è un evento che si ricorda per sempre. Avete visto i sorrisi della ragazzina e del piccoletto che avevano avuto la fortuna di stare con Ronaldo? A Volgograd si è scelto di premiare alcuni bambini dell’orfanatrofio di Vorosilovskij e due ragazzini del centro di riabilitazione sociale di Kamyshin per i minori, Amir K. e Maxim K., facendoli partecipare ad una sorta di concorso scrivendo temi sui successi nello sport e sull’attività della fondazione sportiva di Elena Isinbaeva, la prima donna capace di superare i 5 metri nel salto con l’asta. Cosa succede, invece? Che sul campo scende al posto di Maxim tale Matvey K, figlio di un economista del centro di riabilitazione. Un miserabile sopruso bello e buono. Aggravato da un falso amministrativo. Il figlio del funzionario viene spacciato, con un documento falso creato il primo giugno scorso, come un bambino di una famiglia “disfunzionale”. Un fallo da rigore. Nel senso di cella.

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