Alla fine, Donald Trump ha capitolato. Nel pomeriggio di mercoledì il presidente ha firmato un ordine esecutivo che permetterà ai minori e alle loro famiglie, detenuti alla frontiera, di restare uniti. L’indignazione per le immagini e le voci dei bambini, separati dagli adulti e tenuti in gabbie, alla fine ha prevalso. Trump ha però escluso di essere stato costretto a fare marcia indietro. In un comizio tenuto in Minnesota, poche ore dopo la firma, il presidente ha anzi reagito, spiegando che la sua politica sui migranti non cambia e che tutta questa storia è una mossa dei democratici per “nascondere i crimini di Hillary Clinton e dell’Fbi”. E’ però indubbio che la firma sull’ordine esecutivo è per lui una sconfitta gravissima, politica e di immagine.
La sconfitta politica sta nell’aver creduto di poter addossare sul Congresso, e in particolare sui democratici, la responsabilità della separazione delle famiglie al confine. Per settimane, Trump ha insistito che questa pratica era obbligata, frutto di una legge fatta passare proprio dai democratici ai tempi di Bill Clinton e ampiamente utilizzata da Barack Obama. “Per la legge corrente, abbiamo solo due opzioni – aveva detto Trump pochi giorni fa – Possiamo o liberare le famiglie di immigrati illegali e i minori che si presentano al confine, in arrivo dal Centro America. O possiamo arrestare gli adulti per il crimine federale di entrata illegale negli Stati Uniti. E separare I minori dagli adulti”.
Per questo presunto impasse, il presidente chiedeva un intervento, e una nuova legge, da parte del Congresso. In realtà, come molti all’interno del suo stesso partito gli facevano notare, non esiste alcuna legge che obblighi a separare i minori e Trump avrebbe potuto mettere fine alla pratica anche con una semplice telefonata al suo Dipartimento alla Sicurezza Nazionale. Firmando l’ordine esecutivo, il presidente ha dunque fatto una clamorosa marcia indietro e mostrato che non c’era bisogno di alcuna azione del Congresso. Il paradosso è che a questo punto l’ordine esecutivo – il cui linguaggio è stato attentamente studiato da Casa Bianca, Dipartimento alla Giustizia e Sicurezza Nazionale – rischia ora di essere impugnato dai gruppi per i diritti civili. Stabilendo una riunificazione tra minori e adulti, e sottoponendo tutti a una detenzione di carattere indefinito, l’ordine verrebbe a disattendere il “Flores settlement” del 1997, la norma che obbliga le autorità dell’immigrazione a liberare un minore dopo un massimo di 20 giorni.
La scelta di dividere le famiglie – decisa lo scorso aprile, dopo alcuni mesi di riflessione nell’amministrazione e nuovi picchi negli arrivi dal Centro America – si è quindi rivelata politicamente disastrosa. Trump si è dovuto piegare alle pressioni dei repubblicani, timorosi per gli effetti che la politica delle separazioni alle frontiere avrebbe potuto avere sulle elezioni di midterm. Il formidabile intuito politico, che ha spesso fatto prendere a Trump strade diverse rispetto a quelle del suo partito, non ha questa volta funzionato. Di fronte alla crisi umanitaria, con la prospettiva di elezioni sempre più in salita, Trump si è dovuto piegare. Lo speaker della Camera, Paul Ryan, ha fatto sapere che nelle prossime ore i deputati potrebbero votare una legge sull’immigrazione che prenda in esame i casi dei minori alla frontiera e anche la vicenda dei Dreamers. Considerate le opinioni diverse su un tema così controverso come quello dell’immigrazione, è molto difficile che la legge si possa fare. La scelta di rimandare il Congressional Picnic (l’evento sul prato della Casa Bianca, occasione rilassata di incontro tra presidente e deputati e senatori con le loro famiglie) è la prova del nervosismo aperto che segna ormai i rapporti tra la Casa Bianca e il suo stesso partito di riferimento.
C’è poi l’altra sconfitta, forse ancora più bruciante e personale. Quella di immagine. Quella che Trump colleziona di fronte ai suoi stessi sostenitori. L’amministrazione ha fatto un errore di calcolo capitale. Ha pensato che la politica di “zero tolleranza” fosse appoggiata dalla maggioranza degli americani. Ha immaginato che strappare i figli dai genitori e sbatterli in una gabbia sarebbe stato accettato e digerito dall’opinione pubblica. Non è stato così. Le immagini, soprattutto le voci, le urla, i pianti dei bambini incarcerati sono esplosi e alla fine hanno travolto tutto. La forza emotiva, evocativa di quei suoni ha avuto la meglio su qualsiasi calcolo o considerazione politica. Jeff Sessions e Stephen Miller, la coppia che nell’amministrazione ha più spinto in direzione della separazione dei minori dagli adulti, ritenevano che la pratica potesse essere un buon deterrente per far diminuire gli arrivi. Non hanno avuto modo di calibrarne gli effetti, perché nel giro di qualche settimana la maggioranza degli americani ne ha chiesto la revoca.
A essere colpita è appunto soprattutto l’immagine di Trump. Lo stesso presidente lo ha in qualche modo ammesso, perché in un momento di sincerità si è lasciato sfuggire questa frase: “Il dilemma è che se sei debole, se sei pateticamente debole, il Paese viene travolto da milioni di persone – ha spiegato – Se sei forte, sei considerato senza cuore”. E’ dunque l’immagine decisionista, vincente, iconoclasta di Trump che nella vicenda dei minori si appanna. Forse per la prima volta, il presidente Usa ammette la complessità delle cose. Per la prima volta in modo così clamoroso, deve battere in ritirata. Fino a ieri, le sue frasi erano: “Il Congresso ha creato questo problema e il Congresso deve risolverlo”. Oppure: “Sono stati i democratici a provocare la separazione delle famiglie”. Nel giro di poche ore, Trump si assume le proprie responsabilità e firma l’ordine esecutivo. Così facendo, riconosce apertamente che tutto quello che aveva detto e sbandierato sinora, semplicemente, non era vero.
A ben vedere, la crisi sui minori migranti rappresenta un momento significativo nell’evoluzione di questa presidenza. Per la prima volta, Trump si scontra con la realtà. Il presidente che ha usato magistralmente i social per far partire e consolidare la sua avventura politica; l’uomo che non ha mai avuto paura di giocare con i fatti, deformarli, creando spesso una realtà parallela, deve soccombere alla realtà dei fatti. E’ un fatto che la politica della “zero tolleranza” è stata inaugurata dalla sua amministrazione. Ed è un fatto che toccava a lui, e a nessun altro, revocarla. La realtà di migliaia di bambini stipati nelle gabbie – altro fatto – è stata per una volta più forte di qualsiasi tweet.