A distanza di 39 anni da quello storico 4 settembre 1979, un tempo infinito di 14.149 giorni, c’è Tortu dopo Mennea. Il suo 9’’99 è il quarto crono all-time fatto segnare da un uomo bianco, dietro solo al francese Cristophe Lemaitre (uno che ha vinto anche due bronzi olimpici) e all’azero naturalizzato turco Roman Guliyev (oro mondiale), unici a sfondare i 10 secondi
Dieci secondi, anzi un centesimo in meno, di corsa tutti d’un fiato, gli occhi socchiusi sul traguardo e spalancati sul cronometro, per convincersi di aver riscritto la storia dello sport italiano e non solo. In un certo senso di tutto il Paese, perché Pietro Mennea è stato davvero qualcosa in più che un semplice atleta, un eroe italiano, entrato nella memoria collettiva di generazioni e generazioni. Oggi Filippo Tortu, un ragazzino di 20 anni con le stimmate del campione, sconosciuto ai più ma adesso noto a tutti, lo ha superato: ha battuto il suo mitico record di 10’’01 sui 100 metri piani che resisteva dal lontano 1979.
Il primato era nell’aria, è arrivato a Madrid ma era atteso da sempre: 9’’99, è caduto Mennea e anche il muro dei 10 secondi, terzo bianco a riuscirci. Non vale la scusa del tempo che passa, e del fatto che i record siano fisiologicamente destinati ad essere battuti da generazioni nuove e più prestanti, aiutate dalla tecnologia. L’evoluzione della specie, i materiali performanti, gli studi al computer: tutto vero, ma non in questo caso. Il primato italiano di Mennea sarebbe rimasto lì per altri 39 anni, probabilmente, come dimostrano gli ultimi 4 decenni trascorsi in maniera piuttosto grigia per l’atletica azzurra. Ci voleva qualcosa di speciale per cancellarlo. Anzi, qualcuno.
Filippo Tortu lo è senz’altro. Vent’anni compiuti da qualche giorno, faccia pulita, accento brianzolo e origini sarde come tradisce il suo nome: nonostante la giovanissima età, di lui si parla da quando minorenne macinava record su record e faceva incetta di titoli di categoria. La Federazione lo aspettava come il Messia, sperando di aver trovato il campione in grado di risollevare il movimento, caduto in profonda depressione negli ultimi anni di zero medaglie a Olimpiadi e Mondiali. Un predestinato, insomma. Anche un po’ sfortunato, perché per arrivare dove tutti lo avevano pronosticato ha dovuto faticare e rialzarsi più d’una volta: nel 2004 è caduto sul traguardo delle Olimpiadi giovanili e si è fratturato entrambe le braccia, l’anno scorso dopo l’incredibile 20.34 sui 200 corso proprio al Golden Gala di Roma è scivolato mentre festeggiava con gli amici a Ponte Milvio, infortunandosi alla caviglia. Anche per questo forse ai Mondiali di Londra 2017 non è riuscito a centrare la finale fra i grandi. Ora ci siamo, e il bello deve ancora venire: ad agosto gli Europei di Berlino, quasi da favorito, nel 2019 i Mondiali di Doha, poi nel 2020 il sogno olimpico a Tokyo, con addirittura tre edizioni davanti.
A distanza di 39 anni da quello storico 4 settembre 1979, un tempo infinito di 14.149 giorni, c’è Tortu dopo Mennea. Il suo 9’’99 è il quarto crono all-time fatto segnare da un uomo bianco, dietro solo al francese Cristophe Lemaitre (uno che ha vinto anche due bronzi olimpici) e all’azero naturalizzato turco Roman Guliyev (oro mondiale), unici a sfondare i 10 secondi. Da oggi, con loro c’è anche Filippo. Mennea, che su quel muro si era fermato per appena un centesimo, non è cancellato. Non potrà mai esserlo: del resto ha vinto le Olimpiadi, impresa che probabilmente resterà ineguagliabile in tempi moderni, e poi resiste l’altro suo record, quello sui 200 metri di 19’’72, ancora più iconico e tutt’oggi record europeo. Anche solo di riflesso, però, per aver messo il suo nome al posto di quello di un mito, da oggi Tortu è entrato un po’ nella leggenda. E la sua storia, a soli 20 anni e con le braccia aperte sul futuro, è ancora tutta da scrivere.
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