Franco Mastrogiovanni, 58 anni, maestro elementare precario di Pollica muore dopo essere rimasto legato per 82 ore nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Vallo della Lucania. Dopo nove anni la Cassazione conferma la condanna per sei medici e undici infermieri. È un’altra storia di abbandono. Un altro poveraccio che non muore in mezzo alla strada colpito da un delinquente, ma tra le mani di chi doveva prendersi cura di lui.

Quelli bravi a commentare diranno che il mestiere del medico e dell’infermiere non è semplice. Diranno che ancor più difficile è quello del poliziotto e del carabiniere. Che la tensione manda in confusione e che, in certe situazioni, in certi luoghi, si diventa cattivi senza volerlo. E se non proprio cattivi, almeno insensibili.

Quelli bravi a commentare hanno sempre ragione. Forse è proprio così. E peggio per chi finisce nel posto sbagliato al momento giusto. Ma io voglio ricordare la storia di Adriano Pallotta, uno che non è diventato insensibile. Uno che non ha abusato dell’alibi istituzionale. Ne ho parlato altre volte e ho raccontato anche questa storia. Ma vale la pena ricordarla ancora.

Anzi, la faccio raccontare direttamente a lui, per più di 30 anni infermiere al manicomio di Roma.

Io trascrivo le sue parole con qualche inflessione romanesca.

«In un padiglione – poi era proprio lì al padiglione 16 – siccome non usavamo più in quel posto le fasce di contenzione e via di seguito e stavamo attenti agli psicofarmaci, allora una sera ricordo… entro in servizio con un collega e c’era un paziente che stava in una crisi allucinatoria uditiva incredibile.

Sentiva le voci, per cui lui litigava, parlava con le voci a voce alta, litigava con le voci, no? E allora io e il collega: – Oddio, questo stanotte ce sveglia tutti. Qui vie’ fuori il giardino zoologico, – perché poi è a catena, no? Per cui dico oddio qua, là, di sotto e di sopra, se si era in altri tempi una cosiddetta tripletta facevamo

Che era la tripletta? La tripletta erano tre farmaci uniti. Tre farmaci uniti si chiamava tripletta, che stroncava pure un cavallo, no? Erano Fargan, Serenase e Largactil. Messi insieme stroncano un cavallo. Precedentemente avremmo risolto il problema: gli facevamo quello, mezz’ora… tutto tranquillo.

Allora… niente, questo paziente, eh: – Questo ce sveglia tutti come famo? – de qua, de là…. Allora gli dissi al collega, gli dissi: – Senti, famo ’na bella cosa, io me lo porto laggiù, – che c’era, in fondo proprio all’altra ala del padiglione, c’era una sala tv, no? cioè c’era il televisore, no? Dico: – Lo porto laggiù, c’è meno probabilità, almeno non ce sveglia quest’altri, no?

Questo era una montagna, no? Fisicamente. E molti avevano paura. Io non sentivo questa paura verso questa persona. Allora gli dissi al collega: – Senti, io me lo porto laggiù, accosto la porta quasi a chiuderla in modo che non ce sveglia gli altri –. Allora vado là dentro e io mi metto seduto così su una sedioletta, no? Tipo il regista, no? Coi braccioli. E lui girava per questa stanza, luce accesa, girava per questa stanza, “… bababa…”, mi hai capito? litigava con le voci che sentiva, no? Poi a un certo momento io chiudo gli occhi per riposare.

Eh, lui credendo che io m’ero addormentato… seguitava a parlare con le voci girando per la sala, ma a voce bassa. Mi passava vicino. Mi guardava, ma parlava a bassa voce. E tutta la notte così. Una notte d’inferno incredibile, no?

Facevo sempre finta de dormire, ma non dormivo, anzi dei momenti me veniva sonno, me veniva e me davo i pizzichi, perché non se poteva dormire.

La mattina, albeggiava no? Allora je faccio: – Aldo, sta pe’ fa’ giorno. Lo sai che facciamo adesso? Andiamo io e te, s’annamo a fa’ un bel caffè –. Lui me guarda, se ferma, me guarda e me dice: – Ma come? T’ho fatto passare ’na notte d’inferno e mo me paghi pure il caffè? Mi offri il caffè? – Mi lasciò gelato.

Gli era passata la crisi. Riconosceva tutto e si autoaccusava di avermi fatto passare ’na notte d’inferno e se meravigliava perché gli offrivo pure il caffè!

Se noi gli avevamo fatto la tripletta, l’avevamo distrutto. E per due giorni sarebbe stato legato e sarebbe stato male… e poi magari due giorni dopo je riveniva la crisi allucinatoria. Che avevamo risolto? L’avevamo guarito? No».

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