L’inchiesta Happy Dog ha portato all’arresto dei Fava, ritenuti vicini alla cosca di Taurianova. Per avere gli appalti intimidivano chi aveva osato vincere le gare “con il concorso di funzionari pubblici ed esponenti di associazioni animaliste”. Ma “anche attraverso trasmissioni televisive locali e nazionali" come quella di Canale 5
La ‘ndrangheta e il business dei cani randagi. Le cosche in Calabria puntano a gestire anche i canili comunali. Quando non ci riescono, perché la prefettura ha emesso nei confronti delle loro aziende un’interdittiva antimafia, screditano i gestori degli altri canili. Lo fanno “con il concorso di funzionari pubblici infedeli ed esponenti di associazioni animaliste”. Ma “anche attraverso campagne mediatiche denigratorie con il coinvolgimento di trasmissioni televisive locali e nazionali come Striscia la Notizia”.
È quanto emerso dall’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Reggio, che ieri ha portato all’arresto di Antonio e Francesco Fava, ritenuti vicini alla cosca Viola-Zagari-Fazzari di Taurianova e titolari dell’impresa “Happy dog” (che ha dato il nome all’operazione) e del canile-rifugio “Il Parco”. Con loro, in carcere, è finito pure Domenico Marando, nipote del boss di Platì, Domenico Papalia.
Il gip Karin Catalano ha disposto, infine, i domiciliari per il direttore del servizio veterinario dell’Asp Antonino Ammendola e per uno dei suoi veterinari Vincenzo Brizzi. Ma anche per la rappresentante della Piana di Gioia Tauro degli Animalisti italiani Maria Antonia Catania e il titolare del canile di Melissa Luigi Bartolo.
Al centro dell’inchiesta, condotta dalla squadra mobile di Reggio Calabria, il tentativo dei clan di mettere le mani sugli appalti dei vari comuni per il ricovero dei cani abbandonati. Appalti che, a Taurianova, fino a poco tempo fa erano stati sempre vinti dalla “Happy dog” dei fratelli Fava che, secondo i magistrati guidati dal procuratore Giovanni Bombardieri, hanno rapporti di natura familiare e affaristica con la famiglia mafiosa “Fazzalari-Zagari-Viola”.
Quando, nel 2014, la società “Happy dog” è stata interdetta, la gestione del canile comunale è stato revocata agli imprenditori Fava e affidata, attraverso un regolare bando pubblico, a Leonzio Tedesco che, con la società “Dog Center Sas”, gestiva già il canile di Sant’Ilario dello Jonio. Un appalto di 284mila euro in tre anni a cui la ‘ndrangheta non voleva rinunciare. Ecco quindi che i Fava si sono adoperati “su più fronti – è scritto nell’ordinanza del gip – per assicurarsi il mantenimento del servizio di custodia dei cani randagi del Comune di Taurianova”.
I pm e il gip parlano di “una micidiale sinergia criminale”. Avvertimenti, intimidazioni e minacce sono state il primo tentativo della ‘ndrangheta contro l’imprenditore Leonzio Tedesco “colpevole” di aver osato partecipare e vincere la gara.
Non sortendo alcun effetto, e anzi spingendo la vittima a denunciare tutto alla polizia, i fratelli Fava hanno tentato la strada della delegittimazione “istruendo e indirizzando sotto traccia – si legge sempre nelle carte dell’inchiesta – le iniziative di Maria Antonia Catania, pronta a sobillare contro il Tedesco l’ambiente delle associazioni animaliste ed a fare pressing sulle istituzioni coinvolte”.
Ed è questo, secondo gli inquirenti, il contesto in cui è maturata la campagna mediatica contro il canile di Sant’Ilario dello Jonio. Gli arrestati, infatti, sono riusciti attraverso le associazione animaliste ad arrivare su Canale 5, alla nota trasmissione “Striscia la notizia” che il 31 marzo 2014 ha mandato in onda un filmato dell’inviato Edoardo Stoppa.
“In quel servizio – è la denuncia del titolare della “Dog Center” vittima dei clan – si evidenziavano alcuni cani affetti da lesmaniosi lasciando intendere che l’attività del canile fosse in contrasto con la salute degli animali e le norme vigenti sulla custodia”. Tutto falso perché, due giorni dopo la denuncia di Striscia la Notizia, i carabinieri dei Nas e del Corpo Forestale dello Stato si sono presentati al canile di Tedesco e l’ispezione effettuata ha dimostrato “che non vi era nessun maltrattamento di cani né, tantomeno, violazione di norme sulla custodia”.
In sostanza, secondo gli inquirenti, i soggetti vicini ai clan stavano “orchestrando e ponendo in essere una forma di violenta campagna denigratoria a mezzo stampa e tv”. Campagna denigratoria che ha visto coinvolti anche i giornalisti locali come Nino Spirlì, che non è indagato dalla Dda ma che con gli imprenditori arrestati manteneva un “filo diretto”.
Scrittore e autore televisivo, Spirlì è lo stesso giornalista che a marzo ha accolto a Rosarno il futuro ministro dell’Interno Matteo Salvini quando è venuto in Calabria per ringraziare i suoi elettori. Ma è anche lo stesso Spirlì che a Taurianova, nel 2014, ha fondato il circolo di Forza Italia intitolato a “Dudù”, il cane di Berlusconi.
“Nino, deve essere una cosa fatta a livello nazionale”. È l’intercettazione del settembre 2014 tra l’arrestato Antonino Fava e il giornalista Spirlì che capisce al volo e rilancia la proposta di rivolgersi di nuovo alla trasmissione che, stando alle carte dell’inchiesta della Dda, sarebbe stata tratta in inganno non direttamente dalla ‘ndrangheta, ma piuttosto da alcune associazioni animaliste strumentalizzate dagli imprenditori vicini al clan.
“Lo dovremmo rimandare a Striscia (la notizia, ndr). – è la risposta di Spirlì – Qui bisognerebbe fare, denunciare il caso di nuovo tramite Striscia”.