di Claudia De Martino*
Ha fatto scalpore la recente dichiarazione del neo ministro dell’Interno Matteo Salvini che attribuisce maggior peso alle buone relazioni con l’Egitto che al proseguimento delle indagini sull’efferata morte per tortura del giovane ricercatore a Il Cairo, Giulio Regeni, nel febbraio di due anni fa (2016). “Non possiamo non intrattenere relazioni con un Paese che è importantissimo da ogni punto di vista” ha dichiarato il Ministro, sollevando una levata di scudi, soprattutto tra chi paragona l’atteggiamento di Salvini all’apparentemente più sobria “massima attenzione” espressa sul “caso Regeni” dal precedente Governo Renzi.
Lo stesso Governo Renzi che, dopo essersi profuso in dichiarazioni a sostegno delle indagini in corso, già lo scorso agosto (2017) aveva rimandato l’ambasciatore italiano a Il Cairo insabbiando anche l’inchiesta del New York Times sul coinvolgimento dei servizi segreti egiziani nell’omicidio del ricercatore. A protestare contro il ritorno dell’ambasciatore allora si levarono poche voci, ma il governo Pd non era affatto nuovo a manifestazioni di aperto sostegno all’Egitto, avendo appoggiato il colpo di stato dei militari fin da subito, ovvero dall’agosto del 2014 quando Matteo Renzi era stato il primo capo di governo occidentale a visitare Il Cairo e congratularsi con il neo-eletto presidente al-Sisi. Al contempo i governatori regionali del Pd prendevano spunto per realizzare opere monumentali che immortalassero le ottime relazioni tra l’Italia e l’Egitto (si veda il progetto del “Muro della Speranza”, del settembre 2017, che consiste nella realizzazione di un grande murales, da realizzarsi vicino a Potenza, con l’immagine finale del governatore Marcello Pittella che stringe la mano al magnate egiziano Naguib Sawiris).
Tra le voci dissenzienti di questa “luna di miele” tra il Governo Renzi e l’Egitto, appena incrinata dal caso Regeni, spiccò la bellissima lettera all’allora ministro del Lavoro Giuliano Poletti (“Caro Poletti, avete fatto di noi i camerieri d’Europa”, l’Espresso, 20 dicembre 2016) firmata da una giovane ricercatrice italiana all’estero, Marta Fana. Nella lettera, un passaggio verteva proprio sul ricercatore friulano, bollato negativamente da una parte dell’opinione pubblica come “uno di quei giovani che se ne sono andati” abbandonando il Paese alle ortiche, a un ritmo di circa 120-130mila euro all’anno secondo la fotografia dell’Istat. Fana scriveva: “E poi si sa che, anche tra di noi che ce ne siamo andati, qualcuno meno fortunato esiste. Si chiamava Giulio Regeni e lui era uno dei migliori. L’hanno ammazzato in Egitto perché studiava la repressione contro i sindacalisti e il mondo operaio. L’ha ammazzato quel regime con cui il governo di cui Lei fa parte stringe accordi commerciali, (…) perché Giulio in fondo cos’era di fronte a contratti miliardari?”
In effetti, a scorrere i dati, sembra che il commercio bilaterale Italia-Egitto non sia mai andato così bene: +13,9% nel solo 2017 e l’obiettivo di puntare al target di 6 miliardi di interscambio dai 2,59 attuali (dichiarazione del ministro egiziano dell’Industria e commercio estero, Tarek Kabil, al Wto, dicembre 2017). Per capire i motivi per cui l’Egitto sia considerato dai vari governi italiani un partner strategico, basta scorrere le varie inchieste condotte da siti web indipendenti come Tpi e da giornali come l’Espresso. Resta più difficile da intuire perché il turismo italiano – così come quello dalla Gran Bretagna, altra nazione che il “caso Regeni” avrebbe dovuto far riflettere – verso un Paese per il cui governo dovremmo provare solo indignazione, sia in crescita (169mila presenze nel solo 2017).
Certo, i turisti che approdano a Hurghada o a Marsa non sono certamente attivisti dei diritti umani, ma ormai dovrebbero sapere delle continue sparizioni (dal 2013, circa mille 500 desaparecidos), delle violazioni sistematiche dei diritti umani (60mila arresti per motivi politici, 817 manifestanti uccisi nel solo 2013, pene di morte comminate collettivamente a 529 persone nel 2014) e dei diritti dei lavoratori (scioperanti condannati da tribunali militari), della censura preventiva applicata a giornali e siti indipendenti (si dia uno sguardo allo squallore in cui versano i quotidiani ufficiali), delle continue aggressioni a danno di minoranze religiose e omossessuali. Un Paese che sfiorerebbe punte tragicomiche, se purtroppo i racconti sui molti assurdi abusi di potere perpetrati quotidianamente non fossero drammaticamente veri: solo pochi giorni fa, ad esempio, un membro del Consiglio nazionale dei diritti umani, Kamal al-Helbawi, è stato “accusato” di terrorismo per aver espresso alla televisione la necessità di “riconciliarsi con i Fratelli musulmani”, il partito dell’ex presidente Mohamed Morsi ormai costretto all’illegalità. Come se in Italia si venisse destituiti dai pubblici uffici per reati di opinione, ovvero per dissenso con la linea del Governo Conte.
In un’epoca in cui si parla tanto di commercio “equo e solidale” per sensibilizzare i consumatori sulle condizioni dei lavoratori nei Paesi poveri produttori, i turisti in partenza per l’Egitto dovrebbero avvertire la responsabilità che un tale viaggio comporta nella “normalizzazione” delle relazioni con Il Cairo. Non per sdoganare le politiche scellerate del governo di turno, ma per capire che i governi spesso rispondono al sentire collettivo dei cittadini e quei cittadini sembrano essere i primi a non considerare Regeni uno di loro.
*ricercatrice ed esperta di questioni mediorientali