Lo chiamano il turismo dei rifiuti. Almeno 40 milioni di tonnellate di scarti nel 2016 hanno attraversato l’Italia da una regione all’altra a bordo di oltre un milione e mezzo di tir. Roma spenderà qualcosa come 188 milioni per portare fuori dalla capitale 1,2 milioni di tonnellate di scarti nei prossimi due anni, ed è in buona compagnia. I rifiuti si muovono ovunque in Italia, alla ricerca di impianti adeguati o meno costosi, e quando si tratta di spazzatura urbana il costo di questo girovagare lo pagano i cittadini in bolletta. Altri cittadini, nelle aree piene di impianti che accolgono i rifiuti da fuori regione, pagano con la salute il prezzo del trattamento e smaltimento di quantità sproporzionate di monnezza. Che è anche il prezzo della carenza impiantistica degli altri. Un esempio eclatante è il Bresciano, una delle aree più inquinate d’Italia, dove ci sono 880 impianti che trattano e smaltiscon o rifiuti e 120 discariche, comprese quelle chiuse.
1,7 milioni di tir carichi di monnezza
Secondo dati di Unioncamere fino ad oggi mai resi noti, nel 2016 sono entrati nelle regioni italiane da fuori confine o dall’estero oltre 38 milioni di tonnellate di monnezza e sono uscite più di 36 milioni. Per evitare di conteggiare due volte le stesse quantità, si può dire senza rischiare di sbagliare che nel 2016 in Italia hanno viaggiato da una regione all’altra almeno 42 milioni di tonnellate di rifiuti (38 milioni, di cui quasi 6 dall’estero, più altri 4 milioni di immondizia diretta all’estero). Una stima molto prudente, ma che tradotta in tir dà un risultato impressionante: significa che le strade sono state percorse da 1,7 milioni di autoarticolati da 25 tonnellate ciascuno, la dimensione media quando si parla di carichi di immondizia, generando un impatto ambientale non indifferente. Il deputato dei 5 stelle Alberto Zolezzi, che sulla base dei dati ottenuti da Unioncamere ha cercato di ricostruire la mappa dei flussi, ha disegnato sulla cartina dell’Italia una selva di frecce intrecciate, che da un’unica area finiscono anche in otto posti diversi.
Importati più rifiuti di quelli regionali
La monnezza che entra dentro le regioni di solito è molto di più di quella dai cittadini del territorio: un paradosso che si ripete lungo tutta la penisola. A fare più impressione per le montagne di scarti in ballo sono Emilia Romagna e Veneto, ma ancora di più la Lombardia: non solo è la regione dove si produce più spazzatura urbana (quasi 5 milioni), ma anche quella che accoglie più rifiuti da fuori, 11,8 milioni di tonnellate, di cui quasi 3 dall’estero. Secondo le elaborazioni del deputato, membro della Commissione ambiente della Camera, la Lombardia prende rifiuti direttamente da Piemonte, Valle d’Aosta, Toscana, Liguria, Emilia Romagna, Veneto, Trentino Alto-Adige, Friuli Venzia Giulia, Lazio, Campania, Abruzzo e Sicilia, a cui si aggiunge la monnezza che arriva da altrove, ma facendo tappa prima in una di queste regioni. Il Friuli Venezia Giulia è invece al primo posto per il rapporto tra scarti in ingresso e rifiuti prodotti dai cittadini: i primi sono addirittura il quintuplo. La sua posizione di confine, che in passato ne ha fatto anche la fortuna commerciale, lo ha esposto nel 2016 all’ingresso di 2,9 milioni di tonnellate, di cui 1,7 milioni dall’estero.
Non ci sono impianti, il prezzo lo pagano i cittadini
Ci sono poi le regioni afflitte da carenza di impianti e quindi grandi esportatrici di rifiuti. Così, i costi della mancanza di infrastrutture e di una politica che si tiene lontana da scelte impopolari li pagano i cittadini con la bolletta della Tari, e le aziende spendendo di più per smaltire lontano i propri rifiuti industriali. Campania, Lazio, Abruzzo, Liguria, Puglia, Sicilia sono tra le regioni che più esportano monnezza. Dal Lazio, per esempio, i rifiuti prendono la via di Toscana, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Marche, Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata. La Liguria, con una raccolta differenziata bassa e pochi impianti, ha bisogno disperato di discariche e inceneritori e manda spazzatura in tutte le regioni vicine: Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Toscana. Ma anche l’Abruzzo è un attivo esportatore, con flussi diretti verso Lazio, Umbria, Lombardia, Emilia Romagna e Marche a Nord, e Molise, Campania e Puglia a Sud. Dai confini campani escono più di 3 milioni di tonnellate di spazzatura: solo 170mila tonnellate vanno direttamente all’estero, mentre il resto è destinato soprattutto verso Lombardia e Abruzzo, almeno per la prima tappa di un viaggio difficile da ricostruire per intero.
Rifiuti sanitari in vacanza
Curiose sono anche le dinamiche di una categoria di rifiuti delicati, quelli sanitari. Siringhe, bende, resti di operazioni chirurgiche, medicinali citotossici, bisturi, sostanze chimiche pericolose vengono inceneriti, ma gli impianti che li bruciano sono pochissimi. Per raggiungerli, questi scarti percorrono centinaia di chilometri sulle strade italiane. La Campania, per esempio, ne produce oltre 12mila e ne esporta quasi 9mila, mentre non sono nemmeno 200 le tonnellate che entrano da fuori. Una tendenza opposta si osserva in regioni dove ci sono gli inceneritori ad hoc: l’Emilia Romagna, per esempio, importa più del doppio degli scarti sanitari prodotti sul suo territorio, 33mila tonnellate contro poco più di 15mila. È la regione che accoglie più monnezza di questo tipo. Anche la Calabria, dove si trova un altro grosso impianto, ne genera 3.400 tonnellate, ma ne importa altri 11.500.
Strategie per sfuggire alle regole
In Italia nel 2016 sono stati prodotti 30 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e 135 milioni di speciali. Se questi ultimi hanno libertà totale di movimento, per i primi la legge impone il principio di prossimità: in soldoni, significa che ognuno deve tenersi e gestirsi i suoi rifiuti in autonomia a livello regionale o sub-regionale. Almeno in teoria, perché nella pratica, attraverso deroghe e accorti tra Regioni, la monnezza viaggia eccome. “Tutte le volte in cui è necessario prevenire situazioni di emergenza – quindi praticamente sempre, a discrezione dei decisori politici che poi delegano ai gestori del servizio – si possono stipulare accordi fra Regioni per la spedizione transregionale di rifiuti urbani”, dice Zolezzi, che ha contato almeno 12 accordi negli ultimi anni. E se questo non basta, altri stratagemmi possono aiutare a cambiare l’etichetta al rifiuto, e quindi anche le regole a cui è sottoposto: è sufficiente che siano transitati per un centro di trasferimento o che siano stati sottoposti ad una operazione di trattamento perché passino da urbani a speciali, e quindi senza vincoli di movimento. Se per i rifiuti dell’industria il prezzo della gestione ricade sulle stesse aziende produttrici degli scarti, quando si parla di urbani la spesa è ripartita tra i cittadini. Più i rifiuti viaggiano, più il conto è salato. I liguri pagano in bolletta i viaggi in mezza Italia dei loro rifiuti, e così i siciliani, gli abruzzesi, i toscani. Nella capitale, dove Ama ha alzato da 105 milioni in tre anni a 188 milioni in due anni la posta in gioco per la gestione dei rifiuti urbani dopo una prima gara andata deserta, a offrire il giro turistico ai propri rifiuti sono sempre loro, i romani.
Il tema, spiega il deputato, sarà al centro dei lavori della prossima Commissione bicamerale d’inchiesta sui rifiuti, per la cui costituzione anche in questa legislatura è già stata presentata una legge ad hoc. “Cercheremo dati più puntuali per capire la percorrenza totale dei rifiuti in Italia, i costi economici a carico di cittadini e imprese, e l’inquinamento conseguente. Cercheremo di capire perché lo stesso tipo di rifiuto viene importato dalle stesse regioni che esportano quello di propria produzione, forse alla ricerca di tariffe sempre più basse – dice Zolezzi – Chissà che i record di tariffe low cost non siano per gli impianti, sempre più numerosi, che poi prendono fuoco”.