Mentre l’imminente summit sulle migrazioni rischia di aprirsi con il rischio di una frantumazione dell’area Schengen, i leader socialisti europei si sono dati appuntamento ad Amsterdam a inizio settimana per fare il punto sulla situazione dei migranti.
Oltre ai segretari dei partiti socialisti di Belgio, Danimarca e Austria, i laburisti olandesi e il Pd si sono incontrati a inizio settimana per cercare una via d’uscita socialdemocratica a quella crisi, vista dai vertici come la causa del colpo di grazia ai centro-sinistra di mezza Continente.
Maurizio Martina, in rappresentanza del Partito democratico ha detto all’Ansa che scopo del summit era : “trovare azioni coordinate di risposta al tema epocale dei migranti, diversamente da chi anche in Italia specula su questo tema con la propaganda quotidiana pericolosa, improduttiva ed inefficace”. In realtà, a dettare la linea a questo inedito asse socialista nord-sud è Mette Frederiksen, leader dei Socialdemocratici danesi, unico partito di centro-sinistra che viaggia con il vento dei sondaggi in poppa.
Mentre gli altri colleghi seduti ad Amsterdam contano a casa loro le perdite dello tsunami populista, i danesi hanno ben chiaro cosa fare per tornare a vincere: frontiere chiuse ai rifugiati -da accogliere nei centri profughi delle loro regioni di provenienza- “prima i danesi”, assimilazione forzata delle minoranze non occidentali, quartieri con “quote” per gli immigrati e stop al taboo di sinistra che l’Islam non può essere criticato. Stando al programma olandese Nieuwsuur, la svolta social-conservatrice sarebbe stata vista con interesse dai partner presenti del Partito socialista europeo, a cominciare da Lodewijk Asscher, leader dei laburisti olandesi, decimati nei consensi alle ultime elezioni.
Che il centrosinistra fosse a “rischio radicalizzazione” dopo le ultime sconfitte, e quella italiana ad un anno dalle europee ha suonato l’allarme per tutti, non dovrebbe sorprendere: il tentativo ottuso e isterico di voler regolare a tutti i costi un fenomeno complesso come le migrazioni, cercando di tenere insieme principi umanitari e termometro del consenso, ha creato un mostro. I partiti di centrosinistra, dopo aver cercato a lungo la quadra al cerchio con il mercato (ed essere stati alla fine risucchiati da finanza e capitalismo) ora ammainano anche la bandiera dei diritti umani.
La nuova ragionevolezza passa per l’addio al multiculturalismo e per una – sostanziale – resa di fronte all’avanzata populista: se non puoi batterli imitali, ma con delicatezza. Frontiere delicatamente chiuse, supremazia della cultura maggioritaria ma con gentilezza; critiche all’Islam e obbligo di conformarsi ai valori occidentali ma senza gridare.
Spiegare con raziocinio che non c’è alcuna invasione e che ricominciare a emettere visti di lavoro – quasi impossibili da ottenere per un cittadino extra Ue non qualificato- potrebbe risolvere la crisi del Mediterraneo, costare meno dell’esercito posto a presidiare il mare e delle mazzette pagate ai regimi africani, sembra un ragionamento troppo complesso: i partiti socialdemocratici, per loro natura, sono fatti per governare non per stare all’opposizione. E se le elezioni oggi le vince lo pseudo identitarismo delle formazioni populiste, invece di cercare una propria via, paga di più e in fretta rincorrere le tesi maggioritarie e spolverarle con il rigore scientifico e pragmatico della ragionevolezza. Così avremo cattivismo populista e cattivismo centrista.
Difficile dire se questa sia l’alba del sovranismo in salsa socialdemocratica ma un dato è certo: la svolta regressiva del centro-sinistra e l’abbandono di quei valori universali, messi dal dopoguerra in calce nei testi dei trattati internazionali, anche da parte di alcuni eredi di quella tradizione, almeno in nord Europa è ormai una certezza. Ciò che ai centristi, orfani delle poltrone, sfugge è che un cedimento sulla questione dei rifugiati avrà conseguenze catastrofiche per la tenuta stessa del sistema democratico come lo conosciamo. Anche se oggi sembra importare a pochi.