Il professor Pinelli: "Arriveranno puntualmente i ricorsi e, a distanza di un anno, gli interessati avranno indietro quanto tolto. E che cosa si sarà ottenuto in questo modo? È indubbio che su certi temi ci siano stati degli abusi. È possibile anche immaginare interventi correttivi, ma con criterio"
Per il ministro dello Sviluppo economico e del lavoro, Luigi Di Maio, “quest’estate festeggeremo la fine delle pensioni d’oro e l’inizio di un’Italia più giusta”, mentre già questa settimana sarà quella “buona per tagliare i vitalizi”. Tuttavia, in entrambi i casi, non si sa bene come il cambiamento andrà in porto. Non è chiaro l’impianto giuridico ed economico, come non lo è nella pace fiscale caldeggiata dal vicepremier Matteo Salvini. Per non parlare del fatto che eventuali misure su vitalizi e pensioni d’oro rischiano di far scattare ricorsi a catena e di portare vantaggi economici assai risicati e del tutto insufficienti a finanziare misure come il reddito di cittadinanza o l’aumento delle pensioni minime.
“Dire ‘noi intanto lo facciamo. Che facciano pure ricorso’, vuol dire confessare pubblicamente che si tratta di decisioni puramente di immagine. Di dichiarazioni che servono ad alimentare i titoli dei giornali e che il giorno dopo non varranno più – spiega Cesare Pinelli, professore di diritto costituzionale all’Università La Sapienza di Roma – Arriveranno puntualmente i ricorsi e, a distanza di un anno, gli interessati avranno indietro quanto tolto. E che cosa si sarà ottenuto in questo modo? È indubbio che su certi temi, come vitalizi e pensioni d’oro, ci siano stati degli abusi. È possibile anche immaginare interventi correttivi, ma bisogna fare le cose per bene”.
Per il professor Pinelli, il principio che deve valere è quello della ragionevolezza nei tagli. Altrimenti c’è il rischio di mettere in campo interventi inutili. “Nel caso delle indennità parlamentari siamo di fronte ad una misura prevista all’articolo 69 della Costituzione a tutela di un principio democratico di accesso anche alle classi più umili alla vita politica del Paese”, ricorda. L’indennità è stata infatti voluta dalla costituente per evitare condizionamenti economici dei parlamentari. Per quanto concerne invece le pensioni d’oro, l’eventuale sforbiciata “non può violare il principio di affidamento perché, in corso d’opera, non si possono cambiare le regole del gioco in maniera significativa. Se una persona ha pensione da 4mila euro, non ci potrà essere un taglio a 1500 perché la sua vita ne verrebbe stravolta. Detto questo certamente possono essere studiati ridimensionamenti evitando di scatenare una raffica di ricorsi”. Una questione peraltro già evidenziata, sul tema vitalizi, dagli uffici legali di Camera e Senato evidenziando il rischio di ricorsi.
Sulle pensioni d’oro poi, secondo quanto già indicato dalla Corte Costituzionale nella sentenza 314 del 2000, il legislatore può effettuare solo “interventi di carattere eccezionale, transitorio, non arbitrario e consentaneo allo scopo prefissato”. Nessuna misura definitiva, insomma. Ma solo interventi spot: per definizione, quindi, la sforbiciata alle pensioni sopra i 5mila euro non potrà fornire risorse stabili al progetto di aumento delle pensioni minime che Di Maio vorrebbe incrementare “grazie al miliardo che risparmieremo”. “Non è chiaro peraltro se l’intervento riguarderà i cumuli pensionistici chiamando in causa ad esempio anche gli assegni di reversibilità – si domanda Giorgio Fontana, docente di diritto del lavoro all’Università Mediterranea di Reggio Calabria – Ad ogni modo, un’iniziativa che colpisca gli assegni previdenziali futuri è a forte rischio di incostituzionalità: le pensioni sono retribuzione differita e, di conseguenza, gli spazi di manovra sono molto limitati. Sarebbe come toccare gli stipendi pubblici. Bisognerebbe poi chiedersi perché si interviene solo sugli assegni pubblici e non anche su quelli privati”. Insomma un gran pasticcio da cui è possibile ottenere qualche beneficio, ma sostanzialmente “un rivolo rispetto al fiume di risorse necessarie per le misure che si intendono finanziare”, come puntualizza Fontana.
Già in partenza, peraltro, i conti non tornano: se infatti Di Maio parla di 1 miliardo di risparmi, secondo un calcolo del ricercatore Istat Franco Mostacci pubblicato da La Voce il 9 febbraio scorso, la sforbiciata alle pensioni d’oro porterebbe al massimo a un risparmio di 490 milioni, che per oltre la metà (280) verrebbe annullato da un minor gettito Irpef. Evidentemente i numeri definitivi dipenderanno da come il governo deciderà di impostare la revisione dei superassegni previdenziali e dal tetto che verrà realmente inserito. Ferma restando la costituzionalità dell’intervento. “Altra questione sarebbe invece intervenire sui meccanismi perequativi (gli scatti pensionistici, ndr)”, prosegue il professor Fontana che invita ad una maggiore riflessione nella costruzione di una società più equa sotto il profilo del reddito lavorativo e di conseguenza di quello pensionistico. “Gli squilibri attuali sono il frutto di forti differenze salariali durante la vita lavorativa tra super-stipendi di dirigenti pubblici, ad esempio, e paghe dei cosiddetti working poor, lavoratori con un basso livello di reddito, divisi tra salari da fame e contratti a intermittenza – conclude -. Concordo con Di Maio sul fatto che le pensioni d’oro sono inaccettabili, ma sono figlie delle disuguaglianze del lavoro su cui mi auspico che il governo intervenga con una seria e organica riforma del lavoro”.
Ma allora, se i tagli a vitalizi e pensioni d’oro sono economicamente non rilevanti, come potrà l’esecutivo giallo-verde trovare le risorse per finanziare misure come il reddito di cittadinanza o l’aumento delle pensioni minime? “Se davvero il governo vuole fare dei risparmi, ha molto spazio per agire: il problema non sono certo vitalizi e pensioni d’oro – conclude Pinelli – Ci sono sedi istituzionali e amministrative dove le sacche di spreco di denaro pubblico sono certamente più consistenti e da cui si può certamente avere di più. È li che bisogna agire”.