Dopo la sconfitta a Siena, Pisa e Massa, ma anche Imola, i democratici tentano di fare autocritica. Ma mancano tempi e accordo su come procedere. Il presidente del Lazio chiede di rifondare da zero la struttura, i parlamentari vicino all'ex premier addirittura rivendicano il suo passo indietro. Intanto l'ex ministro Carlo Calenda rilancia l'idea del Fronte repubblicano, di cui casualmente o meno, ha parlato anche il neoeletto Scajola a Imperia
Neppure dopo essersi svegliati sotto choc per aver perso le roccaforti rosse della Toscana, i dirigenti Pd riescono a sedersi al tavolo e a trovare un accordo su come rifondare il partito. Non che non si aspettassero la botta, ma veder cadere Pisa, Massa e Siena una dopo l’altra, nella regione di Matteo Renzi, non può che dare il colpo definitivo allo piscodramma in cui vive il partito da dopo il voto del 4 marzo. Oggi ci ha provato il presidente del Lazio Nicola Zingaretti a chiedere di ripartire da zero: “Un ciclo storico è chiuso”. Ma i renziani la vedono diversamente e addirittura difendono il leader: “Abbiamo perso anche senza di lui”. L’unica nuova idea è in realtà una strategia che guarda proprio a destra e a rilanciarla è stato l’ex ministro Carlo Calenda su Twitter: “Ora il fronte repubblicano”. Parole che rievocano addirittura le prime dichiarazioni dell’ex ministro del governo Berlusconi Claudio Scajola, neo eletto sindaco a Imperia. Per alcuni il segnale chiaro che una parte del partito punta a cercare i voti dei moderati. Intanto Matteo Orfini, presidente del Pd, prova a fare a suo modo autocritica: “Abbiamo inseguito il racconto della destra”. Non si parla di leadership, piani per rifondare il partito o temi specifici: tutto bloccato cercando di prendere tempo e rinascere con l’opposizione in Parlamento. Ma con due appuntamenti che incombono: le Regionali in Emilia-Romagna e Toscana.
L’unico movimento concreto è quello per chiedere che l’assemblea di luglio convochi subito il congresso del Pd. E’ la linea che è emersa in ambienti di Area Dem, l’area Pd che fa capo a Dario Franceschini e Piero Fassino. Nel partito nelle scorse settimane si era fatta largo l’idea, sostenuta anche dai renziani, di rinviare il congresso al prossimo anno, magari dopo le europee. Ma la sconfitta ai ballottaggi rimescola le carte e fa crescere il fronte, che include anche la minoranza, di chi ritiene che non si possa rinviare oltre.
Zingaretti ci ha provato a chiedere di ripartire da zero, ma per il momento le sue parole sono destinate a cadere nel vuoto. “Ora”, ha scritto su Facebook, “non bastano semplici aggiustamenti. Tantomeno bastano povere analisi di circostanza. Un ciclo storico si è chiuso. Vanno ridefiniti un pensiero strategico, la nostra collocazione politica, le forme del partito e il suo rapporto con gli umori più profondi della società italiana, l’organizzazione della partecipazione e della rappresentanza nella democrazia. In questi anni non ci sono sfuggiti i dettagli ma il quadro di insieme. C’è un lavoro collettivo da realizzare. Deve partire subito e coinvolgere non solo il Pd. È il momento del coraggio, della verità e della responsabilità”. Ma siamo sempre allo stesso punto: il rinnovamento non è previsto da una parte del partito. Tanto che il fronte renziano ha addirittura rivendicato il fatto che la sconfitta è arrivata nonostante il passo indietro dell’ex premier: “Abbiamo perso malamente”, ha scritto su Facebook il capogruppo Andrea Marcucci. “Nessun se, nessun ma. Il vento del 4 marzo continua a tirare in Italia, come in gran parte del mondo occidentale”. E ha pure aggiunto: “Il voto se non altro ha sgombrato il campo dal ruolo e dalle responsabilità di Matteo Renzi. Il 24 giugno il Pd ha perso anche senza Matteo Renzi“. “Il problema non era Renzi”, ha detto pure Raffaella Paita, parlamentare del Pd, “e avere usato Renzi come ‘scusa buona per ogni stagione’ è servito a rimuovere il vero tema: la necessità che il Partito democratico ragioni sulla sua identità e sul suo profilo riformista”.
Il primo a montare sulla polemica era stato Carlo Calenda, ex ministro e neoesponente Pd che ha rilanciato l’idea di un fronte repubblicano: “Navigazione a vista sta portando il centrosinistra all’irrilevanza proprio quando l’Italia ne avrebbe più bisogno”, ha scritto su Twitter. “Ripensare tutto: linguaggio, idee, persone, organizzazione. Allargare e coinvolgere su un nuovo manifesto. Andare oltre il Pd. Subito! #fronterepubblicano“. La proposta non è nuova: già a fine maggio aveva lanciato l’idea in un’intervista al Corriere della Sera: “Bisogna presentarsi con un Fronte repubblicano, un simbolo diverso e una lista unica, coinvolgendo tutte quelle forze della società civile e tutti quei movimenti politici che vogliono unirsi per salvare il Paese dal sovranismo anarcoide di Di Maio e Salvini”.
A Calenda ha replicato il segretario reggente Maurizio Martina: “Sono d’accordo sul ripensamento complessivo, abbiamo tanto da cambiare nei linguaggi e nelle idee ma non sono d’accordo sul superamento del Pd”, ha detto ai microfoni di Circo Massimo, su Radio Capital. “Credo nella ricostruzione di un campo progressista, democratico di centrosinistra con un Partito democratico rinnovato al centro”. Per Martina il problema non sarebbe il leader: “Bisogna organizzare, attrezzare il centrosinistra, il Pd, come un progetto nuovo, che non s’inventa in tre mesi. Il tema non è la leadership, che pure è rilevante, ma il progetto. Dove vinciamo c’è un centrosinistra che riesce a fare comunità. Ci sono realtà come Ancona dove questo lavoro si è fatto”, aggiunge. “Faremo assemblea a luglio e decideremo il percorso. Abbiamo tanto da cambiare, inutile negarlo. Primarie? Ci sono nel nostro statuto, sceglieremo il segretario con questo strumento che per me è un valore”. E ancora: “Pd in mano a Renzi? Bisogna uscire da questa discussione”.
L’ex ministro Andrea Orlando invece a Calenda ha risposto dicendo che le soluzioni non vanno trovate nel fronte republicano, ma a sinistra. “C’è bisogno di una definizione di parole nuove per la sinistra, perché di fronte al malessere, allo sconcerto, allo sconforto di milioni di persone, di fronte ai grandi cambiamenti che si determinano, credo che dobbiamo parlare di salari, di pensioni, di scuola, non di fronte repubblicano – ha detto a Radio Anch’io, attaccando l’ex collega di governo – Formule che la gente normale stenta a comprendere. Del fronte repubblicano, che è un’idea delle tante, ne discuteremo al congresso, io penso che prima di partorire formulette, bisognerebbe fermarsi a pensare a leggere i voti, i voti reali e vedere quali sono stati i flussi”.
Di rinnovamento della classe dirigente ha parlato, invece, Roberto Giachetti: “In un momento difficile come questo penso che dobbiamo dare stabilità al Partito Democratico eleggendo una nuova classe dirigente che lo conduca e lo rilanci con una nuova linea politica”, ha spiegato il deputato dem ad Agorà Estate su Rai3 – pensare di sterilizzare la condizione del Partito Democratico fino alle europee non aiuta”. C’è invece chi invita a non ragionare soltanto sul Pd e a ricostruire il partito che fu prima della scissione della sinistra interna: “Sostanzialmente una disfatta – ha ammesso il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, esponente di Liberi e Uguali – nelle regioni una volta rosse, in modo particolare. Laddove il Pd era più forte più la sinistra perde e Leu non svolge nessun ruolo di recupero. È necessario un nuovo inizio, basato sull’unita, sulla ricomposizione e sulla responsabilità. Per questo, io credo che bisogna andare oltre, oltre il Pd e oltre Leu, per costruire un partito nuovo della sinistra e del lavoro che si ispiri agli ideali del socialismo e ai principi della dottrina sociale cristiana“.