Cinema

Festival di Berlino, l’italiano Carlo Chatrian direttore artistico: “Il cinema è commercio, ma è anche arte”

No, non è uno scherzo. Nemmeno un blitz del premier Conte ai danni di Angela Merkel. Da fine marzo 2019 il già direttore del Festival di Locarno, torinese, classe 1971, sarà il numero uno della Berlinale e dividerà il prestigioso incarico con Mariette Rissenbeek, che del festival tedesco sarà la direttrice esecutiva. Un cervello in fuga, insomma

di Davide Turrini

Un italiano a dirigere Berlino. No, non è uno scherzo. Nemmeno un blitz del premier Conte ai danni di Angela Merkel. Da fine marzo 2019 Carlo Chatrian, torinese, classe 1971, sarà il direttore artistico del Festival di Berlino. L’attuale direttore artistico del Festival di Locarno succederà all’oramai veterano Dieter Kosslick, che dirige la Berlinale dal 2002, e dividerà il prestigioso incarico con Mariette Rissenbeek, che del festival tedesco sarà la direttrice esecutiva.

Un cervello in fuga, insomma. E bello grosso. Un italiano che va a comandare in casa dei tedeschi, nel terzo festival di cinema più importante al mondo. “Lavorare ad un festival non significa comandare. Fare il direttore artistico è come fare il direttore d’orchestra. Un lavoro delicato e affascinante di coordinamento e selezione di film”, spiega Chatrian al fattoquotidiano.it. “È un festival che conosco solo da spettatore. Dovrò comprendere bene la cultura tedesca e soprattutto dovrò imparare la lingua”. Già, perché il colloquio, anzi i due colloqui, per il nuovo prestigioso incarico professionale, li ha tenuti in inglese. Davanti a lui, al secondo incontro, la ministra della cultura del governo Merkel, Monika Grütters: “Mi ha stupito positivamente che il ministro trovasse un’ora del suo tempo per farmi un colloquio con domande giuste e precise. Lì la cultura del cinema ha un valore importante, tanto da non finire in mano ad assistenti”.

La Berlinale ha una storia piuttosto lunga alle spalle. Nata nel 1951 ha accompagnato quarant’anni di storia patria divisa in due, per poi rilanciarsi tra gli anni novanta e il primo decennio del duemila nel post unificazione sia in ambito del cinema d’autore, sia per i titoli più commerciali. Anche se è nel bacino delle produzioni nazionali tedesche e del cinema dell’area mittleuropea che Berlino fa la differenza: “Da non tedesco so che su questo piano dovrò lavorare molto. A differenza di Cannes, Venezia e Locarno, Berlino è una città non un luogo di villeggiatura. E soprattutto è un festival di pubblico. Mi pare che all’incirca nell’ultima edizione 2018 sia arrivato a strappare quasi 400mila biglietti”. Chiaro, Chatrian lavorerà ancora alla prossima edizione di Locarno (1-11 agosto 2018) poi avrà almeno sei-sette mesi di tempo per acclimatarsi nei dintorni di Potsdamer Platz, e attorno a febbraio/marzo 2019 iniziare a lavorare sul serio. “Come direttore artistico potrei dire che sarei felicissimo di avere il nuovo film di Eastwood o quello di Scorsese, ma la più grande soddisfazione di un direttore di festival è quella di scoprire voci nuove e di aiutarle ad intraprendere una carriera nel cinema.

Dell’esperienza di Locarno ricordo con grande piacere almeno due momenti tra i tanti: avere consegnato il premio alla miglior attrice a Brie Larson per Short Term 12 due anni prima che vincesse l’Oscar, e aver premiato un autore estremo come Lav Diaz, quello che “fa solo film lunghi”, prima che vincesse Venezia e venisse premiato a Berlino”. Infine, Chatrian ha le idee molto chiare sul significato e il fine di un festival di cinema. Nonostante nelle sale italiane i numeri degli spettatori che vanno a vedere i film premiati ai grandi festival internazionali risultino davvero poca cosa, il neo direttore della Berlinale non si fa tanti problemi di sorta: “Il cinema oggi vive uno scollamento tra pubblico e sala cinematografica. È un dato di fatto. Ma un festival non è un veicolo di produzione distributiva. Le operazioni culturali hanno lo scopo principale di far emergere voci emarginate, politiche, poetiche e morali che hanno bisogno di essere sentite. La speranza è che il pubblico le ascolti. Il cinema è commercio, ma è anche arte”.

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