di Nicola Borri (Fonte: lavoce. info)
Un decennio di crisi
Dopo quasi dieci anni, la saga greca è a una svolta. Il 21 giugno, i ministri delle Finanze europei hanno accertato che la Grecia ha sostanzialmente rispettato gli impegni assunti in occasione dei tre piani di salvataggio approvati finora. Hanno quindi concordato una serie di misure che possono ora sostenerla nel lungo processo di ripresa. Pierre Moscovici, commissario europeo agli Affari economici e monetari, aveva già anticipato il suo giudizio positivo sulla Grecia con una serie di tweet, in cui tra le altre cose aveva ricordato come il governo di Atene avesse introdotto circa 450 provvedimenti legati alle richieste della Troika. E in particolare, aveva citato la riforma del catasto per una più efficiente tassazione immobiliare e l’istituzione del reddito di solidarietà, di cui è oggi beneficiario circa il 6 per cento della popolazione.
Dal 2010, attraverso tre distinti piani di salvataggio (2010, 2012, 2015), la Grecia ha ricevuto circa 274 miliardi di euro sotto forma di prestiti a condizioni favorevoli, erogati in larga parte, circa 242 miliardi, dai paesi europei, e per il resto dal Fondo monetario internazionale. E sono state risorse determinanti. Nel 2009 la Grecia aveva registrato un deficit di bilancio pari al 15 per cento del Pil, mentre adesso gli ultimi dati indicano un surplus dello 0,8 per cento. Anche la crescita inizia ad avere un suo ritmo: 1,4 per cento nel 2017 e, secondo le previsioni, 1,9 nel 2018 e 2,3 nel 2019. Numeri che non sono che il riflesso di un miglioramento più generale dell’economia. Il tasso di disoccupazione, per esempio, che nel 2013 si era impennato fino a un record del 27,5 per cento, nel 2017 era al 21,5 per cento, e secondo molte stime, nel 2019 scenderà ulteriormente al 18,4. Naturalmente, restano cifre elevate: in Germania, il tasso di disoccupazione è oggi al 5,2 per cento. Nonostante i segnali positivi, il percorso è ancora complesso.
Cosa rimane da fare
Le misure approvate dall’Eurogruppo per affiancare e sostenere la Grecia nella ripresa comportano un allungamento delle scadenze del debito e un lungo periodo di assenza di interessi – di fatto fino al 2033. L’obiettivo è risolvere un problema di liquidità: la Grecia, altrimenti, nel breve e medio termine avrebbe difficoltà a reperire le risorse necessarie. Non è stata invece prevista, nonostante varie proposte in questo senso, alcuna riduzione del valore nominale del debito a scadenza; ma l’allungamento delle scadenze equivale, in tutto e per tutto, a una riduzione del valore attuale del debito. Inoltre, in base al terzo e ultimo piano di salvataggio, la Grecia riceverà ulteriori risorse, con cui sarà possibile sia il rimborso del prestito del Fmi, caratterizzato da condizioni più onerose rispetto agli altri, sia la costituzione di un cuscinetto di liquidità per fronteggiare eventuali emergenze.
Entrambe queste misure, l’allungamento delle scadenze del debito e la concessione di nuove risorse, sono vincolate a controlli da parte della Troika sul progresso delle riforme. Si mira cioè a diminuire il rischio che la Grecia, una volta scampato il pericolo, torni sul sentiero poco virtuoso con cui è finita a un passo dall’uscita dall’euro, devastando il suo sistema finanziario e riducendo in povertà milioni di suoi cittadini. Alcune delle condizioni imposte sono senza dubbio ragionevoli, come la soluzione del processo in cui è imputato l’ex presidente dell’istituto nazionale di statistica, o il completamento della riforma del catasto e del piano di privatizzazioni. Altre, invece, come il mantenimento di un avanzo primario pari al 3,5 per cento fino al 2022 e al 2,2 per cento fino al 2060, per quanto indispensabili a garantire la sostenibilità del debito pubblico, comportano costi che, come la storia ormai insegna, pochi paesi hanno rispettato. E tuttavia, non è giusto criticare i paesi europei per averle pretese. Senza simili condizioni probabilmente un accordo politico della portata di quello approvato non sarebbe stato possibile. E in fondo, se la Grecia continuerà sulla strada delle riforme, niente vieta ai paesi europei di alleggerire questi vincoli con futuri interventi.
Anche in Italia, soluzioni che di fatto andrebbero a ridurre il valore del nostro debito ai danni dei creditori (in larga parte italiani, come le nostre banche) sono viste a volte con favore. Ai sostenitori di strategie del genere andrebbero ricordate le condizioni di estrema difficoltà in cui si sono trovati, volenti o nolenti, i greci, e che hanno determinato l’intervento della Troika. Condizioni che in Italia dovremmo invece cercare di evitare.