di Giovanni Vetritto
Anni fa fui invitato a spiegare cosa sia una Costituzione in una terza elementare. Cercai di prepararmi su cosa sia questa escogitazione giuridica, chi l’abbia pensata, in che epoca, con che finalità. Ma lo sforzo si infrangeva sull’inadeguatezza dei programmi (la scuola elementare arriva alla caduta dell’Impero romano); sul tramonto dei concetti di funzione e regola; sull’ignoranza di valori politici minimi, quando un movimento punta all’unanimità, Berlusconi si definisce liberale, Renzi viene ammesso al PSE.
La catastrofe fu evitata dalla visione di un panino sul banco dell’unico bambino con i capelli rossi. Improvvisai una votazione democratica, il cui oggetto era l’assunzione a maggioranza della decisione di privare quel bambino del suo panino, sotto forma di regola generale e astratta, valida per qualunque bambino con i capelli rossi.
Il dibattito vide formarsi, all’ingrosso, tre fazioni: chi riteneva che, dato il modo di decidere, ogni contenuto andasse accettato; chi giustificava l’esproprio solo a certe condizioni dei percettori; chi invocava un principio superiore che vieta una simile decisione contro l’unico bambino con i capelli rossi.
I bimbi venivano condotti a ragionare non di conflitti tra individui, ma sull’assunzione di decisioni collettive. Si decideva cosa fosse lecito decidere e quali decisioni fosse del tutto vietato assumere; ragionammo su chi avesse il potere di decidere, se costui potesse prendersi il panino per sé, se chi decideva potesse essere chi prendeva il panino a beneficio dei potenziali destinatari, se un eventuale giudice potesse essere chi aveva il compito di privare il bimbo dai capelli rossi del panino.
Introdussi così i due fondamentali elementi di ogni Costituzione: il bill of rights e il plan of government. Fu l’occasione per toccare con mano l’esigenza vitale di introdurre nella scuola dell’obbligo un vero, approfondito, accurato insegnamento dell’educazione civica, o civile, o alla convivenza democratica (come con differente lessico la chiamano tanti insegnanti che, senza supporto ministeriale e a mani nude, la fanno seriamente).
Una simile esigenza era diventata vitale già nella scuola di massa della storica riforma del primo centrosinistra (quello degli anni 60, laico e problemista, dei Giolitti e dei La Malfa, non le accozzaglie clericali della Seconda Repubblica); ma quell’insegnamento, ancella della storia, era somministrato da docenti impreparati, di malavoglia e di corsa, solo se e quando avanzava qualche ora dal tempo necessario all’esposizione della materia principale.
La società aveva però ancora strumenti per farsi carico di quel fallimento.
I nonni e i padri avevano sillabato quei concetti nei movimenti antifascisti, o al contrario li avevano imparati per confutarli alla scuola ideologica del Duce. Per decenni sopravvissero partiti, sindacati, organizzazioni civiche, perfino chiese che, fra gli insegnamenti di instradamento al voto di scuderia, impartivano, magari ridotte e banalizzate, ma alla fine corrette, anche quattro nozioni di base su diritti e doveri del cittadino, sfera individuale e sfera collettiva, dinamica politica e dinamica istituzionale, ruolo dello stato e ruolo dei partiti, istituzioni del governo locale e nazionale, stati nazionali e cooperazione sovranazionale.
Nulla di tutto ciò esiste più nell’Italia di oggi.
I ragazzi vengono educati non più nello “spazio pubblico” di Habermas, ma in una piazza virtuale ignorante, nella quale al più intravedono due concetti generici di “giusto e sbagliato”, mettendo sullo stesso piano la nave Aquarius e due gattini su Change.org. Non mi sorprendo a sentirmi definire da mia figlia, con una più che lusinghiera pagella di liceo classico, come “liberalista” (l’ignoranza crea almeno simpatici neologismi).
Sarà che i liberali sono stati per molti decenni avversari dei democratici, e che ancora oggi accettano solo una democrazia compatibile con la libertà individuale: ma per loro in questo contesto di ignoranza, a questo livello di povertà di consapevolezze condivise, le elezioni diventano dei “ludi cartacei” di mussoliniana memoria.
E allora c’è una prima minuscola misura per cui battersi, se davvero mussoliniani non ci si vuole ritrovare e se si ha ancora quel po’ di lucidità per capire che il “bambino con i capelli rossi” può essere ciascuno di noi. Introdurre una vera “educazione civica”, secondo la proposta che “Critica liberale” costruì anni fa, con tanti intellettuali di valore. Gli anni sono passati, alcuni estensori non ci sono più, e la situazione si è aggravata. Riproponiamo oggi quel manifesto. Per Non mollare.
*Questa è la Premessa a un documento di Critica liberale su quella che riteniamo una battaglia civile di grande importanza per invertire la rotta che ci fa precipitare verso un’ignoranza e un’incompetenza sempre più deleterie. Il testo è pubblicato su questo numero 22 di “nonmollare”