L'idea circola da tempo tra le cancellerie d'Europa e Bruxelles. Conte e Macron ne avevano parlato il 15 giugno a Parigi. E il Paese centrafricano figura nei primi due punti della proposta che il premier ha portato al vertice informale di domenica. Ma serviranno molti soldi per convincere le autorità nigerine ad accettare sul loro territorio strutture gestite da personale europeo
E’ “Niger” la parola chiave per interpretare lo scambio di interventi avvenuti sul tema degli “hotspot” e dei “centri di accoglienza” per migranti durante la conferenza stampa congiunta tra Matteo Salvini e Ahmed Maitig. C’è una discrepanza evidente tra quanto affermato dal ministro dell’Interno italiano (“Creare degli hotspot, dei centri di accoglienza ai confini sud della Libia per evitare che Tripoli diventi un imbuto come l’Italia”) e la risposta del vicepremier del governo Sarraj (“Rifiutiamo categoricamente la presenza di qualsiasi campo per i migranti in Libia: non è consentito dalla legge libica”). Una discrepanza che verrebbe logicamente colmata se le strutture di cui si parla il capo del Viminale venissero costruite in Niger, Paese lungo il quale transitano le carovane dei trafficanti che conducono verso Tripoli i migranti provenienti dall’Africa centro-occidentale. Un obiettivo tutt’altro che facile.
L’ipotesi circola da tempo tra le varie cancellerie d’Europa e Bruxelles. Giuseppe Conte ed Emmanuel Macron ne avevano parlato il 15 giugno, in occasione della visita del premier italiano a Parigi. Il Paese centrafricano figura, poi, nei primi due punti della proposta che il presidente del Consiglio ha portato al vertice di Bruxelles di domenica: “Intensificare accordi e rapporti tra Unione europea e Paesi terzi da cui partono o transitano i migranti e investire in progetti. Ad esempio la Libia e il Niger, col cui aiuto abbiamo ridotto dell’80% le partenze nel 2018”, si legge al punto uno. Con il punto successivo che parla di “centri di protezione internazionale nei Paesi di transito. Per valutare richieste di asilo e offrire assistenza giuridica ai migranti, anche al fine di rimpatri volontari. A questo scopo l’Ue deve lavorare con Unhcr e Oim. Perciò è urgente rifinanziare il Trust Fund UE-Africa (che ha attualmente uno scoperto complessivo di 500 milioni di euro) che incide anche su contrasto a immigrazione illegale su frontiera Libia-Niger“.
Da diverse fonti comunitarie si apprende oggi che la Commissione europea sta valutando la possibilità di lavorare ad intese con Marocco, Tunisia e Niger, dove sono già presenti apparati di Unhcr (Alto Commissariato Onu per i rifugiati) e Oim (Organizzaione internazionale per le migrazioni), sul modello dell’accordo Ue-Turchia, per gestire i flussi migratori sulla rotta del Mediterraneo centrale. L’ipotesi è stata presentata stamani durante una riunione del Coreper (Comitato dei Rappresentanti Permanenti degli Stati membri, ovvero ambasciatori e rappresentanti diplomatici) dedicato ai Balcani. Non pare un caso, in questo contesto, il fatto che il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, si recherà in Niger per una visita ufficiale dal 16 al 18 luglio. La missione, si legge nella nota della presidenza, si concentrerà su tre aspetti: sicurezza e stabilità, migrazione e investimenti necessari.
In questo contesto può essere letto anche l’incontro avvenuto il 19 giugno tra il premier Conte e il presidente della Repubblica del Niger Mahamadou Issoufou, in visita a Roma per la conferenza del Programma alimentare mondiale. Tra i dossier sul tavolo anche quello della “Missione bilaterale di supporto nella Repubblica del Niger – Misin”, approvata dal Parlamento al termine della passata legislatura e poi bloccata: “Il governo del Niger inizialmente ha espresso una richiesta per la presenza italiana – ha spiegato il ministro della Difesa Elisabetta Trenta il 23 giugno intervistata su Sky da Maria Latella – poi c’è stato come un ripensamento. In questo momento stiamo attendendo che il governo nigerino confermi la richiesta degli italiani. Credo che la presenza italiana in quell’area sia molto importante per quello che è il controllo dell’immigrazione”.
La missione – “che avrà il ruolo di consolidare quel Paese, contrastare il traffico degli esseri umani e contrastare il terrorismo”, spiegava il 24 dicembre 2017 l’allora premier Paolo Gentiloni – prevedeva un dispiegamento massimo di 470 militari italiani, 130 veicoli e due aerei. I primi 40 soldati italiani sono arrivati nella base americana di Niamey. Dove un C-130 era atterrato in aprile e il secondo il 28 maggio. Poi era arrivato lo stop.
I rapporti sono quantomeno avviati, ma la missione rasenta l’impossibilità. Ci vorranno soldi, molti soldi: Mohamed Anako, presidente del Consiglio regionale di Agadez, città nigerina da cui passano i flussi che arrivano in Libia, li aveva chiesti a dicembre durante la Conferenza di Alto livello organizzata dal Parlamento europeo per discutere del partenariato con l’Africa lanciato il 27 novembre. Parte dei soldi dovranno arrivare dal Fondo per l’Africa che l’Italia chiede all’Ue di rifinanziare. Solo così l’Italia e l’Unione Europea potrebbero convincere le autorità nigerine ad accettare gli “hotspot” di cui parla Salvini, strutture che per loro natura implicano una gestione da parte di personale europeo in territorio non europeo. Cosa che difficilmente può essere accettata da un Paese che abbia a cuore la propria sovranità. Determinante risulterà in quest’ottica il rapporto tra Roma e Parigi, che nel Paese centrafricano mantiene un nutrito contingente militare. Quello italiano, infatti, avrebbe svolto una funzione complementare alle forze schierate da Parigi non tanto per “combattere il terrorismo” quanto per difendere i propri interessi – soprattutto le miniere di uranio vitali per il fabbisogno energetico francese, che per l’80% è soddisfatto da centrali nucleari.