Un barlume di speranza, un sorriso appena accennato si aggira fra le facce depresse e irritate che popolano il Nazareno. Il Partito Democratico, uscito definitivamente con le ossa rotte da questa tornata elettorale spezzatino, si aggrappa a Giovanni Caudo e al “modello Lazio”. Proprio lui, ironia della sorte, che nel 2015, da assessore all’Urbanistica era stato uno dei pochi a non voler abbandonare la nave prima di affondare insieme a Ignazio Marino per mano del Pd renziano. Un mandato in Campidoglio iniziato nel 2013, durante il quale aveva messo a punto il primissimo progetto per lo stadio dell’As Roma a Tor di Valle, quello poi completamente rivisto dall’amministrazione pentastellata con la consulenza di Luca Lanzalone.
Oggi il “professore”, in assoluta controtendenza, si prende la leadership del Municipio III di Roma, uno spicchio di Capitale a nord est – popolato da circa 200.000 persone – che parte da Porta Pia e arriva fino ai confini di Monterotondo, lungo le vie Nomentana e Salaria. Con il 56,71%, Caudo ha vinto il ballottaggio di domenica contro il poliziotto leghista Francesco Maria Bova, fermo al 43,29%, dopo che al primo turno aveva contribuito a spingere sotto il 20% la presidente pentastellata uscente (e sfiduciata), Roberta Capoccioni. Un successo, va detto, sulla cui analisi pendono punti interrogativi ampi almeno quanto i 92 km quadrati su cui si estende il territorio appena conquistato. Sui 171.876 aventi diritto, infatti, sono andati a votare solo 35.948 persone, di cui appena 20.121 hanno scelto Giovanni Caudo. Alla fine dei conti, il 10% della popolazione totale. Nella piena consapevolezza che i municipi, a Roma, hanno poteri limitatissimi per via di una devolution che il Campidoglio non ha mai concesso fino in fondo.
Un successo monco, dunque? Può darsi, ma comunque una vittoria. E nel centrosinistra inizia la riflessione. Le vittorie di Ciaccheri in VIII Garbatella e Caudo in III Montesacro si aggiungono ai fortini capitolini già conquistati due anni fa, in pieno tsunami 5 Stelle, con Sabrina Alfonsi in I Centro Storico e Francesca Del Bello in II Parioli. In totale, quasi 700.000 persone amministrate da Pd e alleati su una popolazione totale di 2.800.000 romani. Non proprio uno scherzo, situazione che potrebbe iniziare a preoccupare anche la maggioranza pentastellata, a sei mesi dal giro di boa di questo primo quinquennio in Campidoglio.
È per questo che in tanti, a poche ore dal brindisi di Piazza Sempione, si sono affrettati a ribadire la genesi di queste candidature – quelle di Ciaccheri e Caudo – che prendono vita sulla spinta di un modello politico che insegue quello ricercato da Nicola Zingaretti in Regione Lazio: se fosse stato per il Pd “ufficiale”, alle elezioni sarebbero andati altri due candidati, chissà con quale esito. Non a caso, da ore gira sui social una vecchia dichiarazione di Giulia Tempesta, consigliera comunale vicina a Matteo Orfini, che l’11 aprile diceva: “È del tutto evidente che i contenuti e le proposte dell’appello (di Caudo, nda) disegnano una prospettiva diversa e lontana dalle proposte emerse dal Partito Democratico”. Ma tutto passa, e oggi il governatore Zingaretti, con ambizioni di segreteria nazionale, può attaccare i suoi “compagni”: “Dopo le allarmanti difficoltà che abbiamo attraversato e confermate da un grande numero di ballottaggi persi nelle città italiane, non bastano semplici aggiustamenti. Tantomeno bastano povere analisi di circostanza. Un ciclo storico si è chiuso. C’è un lavoro collettivo da realizzare. Deve partire subito e coinvolgere non solo il Pd”.
D’altronde, il “modello Lazio” lanciato da Zingaretti pare essere l’unico premiato dalle urne. La vittoria di Caudo si accompagna a quelle di Esterino Montino a Fiumicino, Pietro Tidei a Santa Marinella e Orlando Pocci a Velletri (solo per restare nella Provincia di Roma). Un dato importante come tiene a sottolineare Massimiliano Smeriglio, vicepresidente regionale e stratega politico del governatore: “Aprilia, Formia, Fiumicino, Velletri, Santa Marinella e soprattutto il III Municipio di Roma con la bella vittoria di Giovanni Caudo, dimostrano che il centro sinistra largo, ancorato ad esperienze civiche, può vincere investendo con coraggio sulla rigenerazione delle forme e dei contenuti”. Insomma: “Si può fare dunque e il modello Lazio resta il punto di riferimento indispensabile per chi vuole battere destre e i populismi e riorganizzare il campo democratico e progressista di questo paese”. A cominciare dalle elezioni di Roma 2021, cui in tanti nel centrosinistra capitolino (e non solo) stanno già iniziando a pensare.