È un’importante vittoria politica quella che la Corte Suprema offre a Donald Trump in tema di immigrazione. Con una sentenza decisa a stretta maggioranza – i cinque giudici conservatori contro i quattro liberal – la Corte ha stabilito che il presidente ha agito nel rispetto della Costituzione, ponendo dei limiti all’arrivo di persone da Paesi musulmani. La decisione della Corte arriva in un momento particolarmente difficile per l’amministrazione, al centro di molte polemiche e difficoltà per la gestione dei migranti al confine. Trump ha immediatamente colto il valore politico della sentenza, twittando, “LA CORTE SUPREMA HA CONFERMATO IL BANDO ALL’IMMIGRAZIONE DI TRUMP. Wow!”.
SUPREME COURT UPHOLDS TRUMP TRAVEL BAN. Wow!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 26 giugno 2018
La storia del bando agli arrivi di cittadini dai Paesi a maggioranza musulmana è particolarmente tortuosa. Una settimana dopo essere stato eletto alla Casa Bianca, Trump impone il suo primo bando, provocando il caos in molti aeroporti statunitensi e una serie di ricorsi dei gruppi per i diritti civili, in generale accolti da molti tribunali in giro per il Paese. Un secondo bando viene introdotto due mesi dopo, tra nuove polemiche e ricorsi legali. Si arriva dunque allo scorso settembre, quando Trump firma il terzo bando, sotto forma di “proclama presidenziale”. Nel nuovo testo, il divieto agli arrivi riguarda sei Paesi a maggioranza musulmana – Iran, Libia, Siria, Yemen, Somalia, Ciad – cui vengono aggiunti Venezuela e Corea del Nord (il Ciad è più tardi cancellato dalla lista di proscrizione). Ai cittadini di questi Paesi viene proibito di viaggiare, studiare, lavorare negli Stati Uniti, oltre che emigrarci in modo definitivo. Aggiungendo Venezuela e Corea del Nord, l’amministrazione cerca ovviamente di aggirare l’accusa di pregiudizio anti-Islam. Anche questo terzo bando è però soggetto a diversi ricorsi: da singoli cittadini, gruppi per i diritti civili, lo Stato delle Hawaii, che mettono in discussione proprio la parte relativa al bando sulla base dell’appartenenza religiosa. Un chiaro segnale, secondo i critici, delle intenzioni discriminatorie dell’amministrazione americana.
In un primo tempo i tribunali hanno dato torto a Trump. Il Nono Circuito delle Corti di Appello di San Francisco ha stabilito che l’amministrazione ha ecceduto nei poteri attribuitigli dal Congresso in tema di visti di ingresso negli Stati Uniti. Il Quarto Circuito di Richmond, Virginia, ha bocciato il bando sulla base del divieto costituzionale di discriminare sulla base della religione. Arrivato davanti al massimo organo giuridico americano, la Corte Suprema, il bando è però stato giudicato costituzionale. Il presidente ha l’autorità “di sospendere l’entrata degli stranieri negli Stati Uniti”, scrive la maggioranza dei giudici della Corte. Nonostante il via libera, il presidente della Corte, John Roberts, coglie comunque l’occasione per ricordare a Trump l’importanza del principio di non-discriminazione. “Il presidente degli Stati Uniti possiede il potere straordinario di parlare ai suoi concittadini e a loro nome – scrive Roberts -. I nostri presidenti hanno spesso usato questo potere per esporre i principi della libertà religiosa e della tolleranza su cui questa nazione è stata fondata”. Roberts ricorda anche come lo stesso George W. Bush, dopo gli eventi tragici dell’11 settembre, difese comunque “la vera fede dell’Islam”.
Il rispetto dei principi della tolleranza e della libertà religiosa, secondo i cinque giudici della Corte, non è però in questione nel caso specifico di questo bando. In esso, spiegano i giudici, Trump ha agito nell’ambito della Costituzione, che dà al presidente il potere di fissare i principi della sicurezza nazionale. Nessun peso hanno quindi avuto gli argomenti che gli oppositori del bando hanno portato davanti alla Corte: soprattutto, i numerosi commenti anti-musulmani che Trump ha fatto in campagna elettorale e durante i primi mesi della sua presidenza. Secondo l’opinione di diversi studiosi, in questo caso ha comunque avuto molto peso la sostanziale riluttanza da parte di almeno due giudici conservatori, John Roberts e Anthony Kennedy, a sfidare l’autorità presidenziale in tema di sicurezza nazionale.
La sentenza della Corte offre comunque a Trump uno strumento importante per riaffermare le sue politiche in tema di immigrazione. Il presidente era in evidente difficoltà. Il recente ordine esecutivo, in cui ordina il ricongiungimento delle famiglie alla frontiera, incontra molte difficoltà di attuazione. Non si sa come trattare i casi degli adulti che entrano negli Stati Uniti accompagnati da minori (che secondo la legge americana, non possono essere detenuti per più di trenta giorni). È comunque il sistema giudiziario americano nel suo complesso che fatica, di fronte all’impatto di migliaia di migranti che arrivano dal Centro America. Il presidente, nelle scorse ore, ha cercato di superare accuse e critiche con una proposta shock: deportare i migranti senza garantirgli un processo e subito dopo il loro arrivo negli Stati Uniti. La decisione della Corte, su un tema così significativo come il bando agli arrivi dai Paesi musulmani, è quindi una boccata d’ossigeno politico di cui Trump aveva assoluto bisogno in questo momento.