Scuola

Insegnanti aggrediti: se famiglia e scuola non sono alleate, a farne le spese è il minore

di Anna Maria Giannini *

Il mestiere dell’insegnante è divenuto oggi un mestiere ad alto rischio? Sembrerebbe proprio di sì, a giudicare da alcuni recenti casi di cronaca. Sorgono alcune domande: quale ruolo hanno assunto i genitori in queste situazioni? Come mai hanno valutato come appropriato un comportamento di aggressione fisica agli insegnanti? Quale tipologia di modello comportamentale hanno offerto ai loro figli?

Una prima considerazione riguarda il tema della perdita di controllo: nulla osta al confronto con i docenti (magari non al cospetto dei figli stessi, che potrebbero interpretare come rinforzo delle loro posizioni l’intervento dei genitori e ricavarne il messaggio di essere sostenuti contro l’insegnante) per comprendere lo stile educativo, le decisioni, le valutazioni, le metodologie; quello che sorprende è che si arrivi ad aggredire per un esprimere il proprio dissenso. Queste tipologie di genitori sono magari le stesse che, di fronte alla richiesta di esprimersi sui comportamenti di bullismo e cyberbullismo, indicano chiara riprovazione e si sorprendono, specialmente se tali azioni sono praticate a danno dei loro figli.

La perdita di controllo viene “giustificata” dalla convinzione di avere subito un torto grave, torto che si configurerebbe come lesivo dei diritti dello studente e dei genitori stessi. In alcuni casi alla richiesta di spiegazioni il genitore ha risposto “dovevo difendere mio figlio”. Ci si chiede che cosa si intende con il concetto di  difesa, difesa da chi? Un messaggio educativo coerente ed efficace parte dalla sua chiarezza ed univocità, se i genitori offrono un modello incongruente e dissonante rispetto a quello offerto dalla scuola, la confusione potrà dare luogo a comportamenti paradossali da parte dei ragazzi che, sentendosi sostenuti dai genitori, possono sviluppare modalità autocentrate ed aggressive con parallela svalutazione della rilevanza di una importantissima agenzia educativa quale la scuola.

Tutto ciò chiaramente danneggia in primo luogo i minori stessi, che si trovano di fronte a messaggi dissonanti e di diverso peso, traendo forza per svalutare il messaggio percepito come più debole o “meno conveniente” rispetto ai loro desideri o agli impulsi del momento che caratterizzano infanzia ed adolescenza.

La scuola deve essere alleata della famiglia nella costruzione di messaggi educativi coerenti, condivisi e sostenuti. Nei casi di difficoltà o di dissenso dalla posizione dell’insegnante (situazione che può verificarsi), occorre sviluppare un sereno confronto che riporti le posizioni su un piano di efficacia, con razionale riconoscimento della singole ragioni.

Purtroppo, in alcuni casi, la posizione narcisistica prevale e la comunicazione delle difficoltà o degli insuccessi dei propri figli, fonte di frustrazione, viene negata, non accettata e trasformata in cieco risentimento. La posizione narcisista, autocentrata, incapace di tollerare frustrazioni, fallimenti, errori, porta a proiettare sull’altro le responsabilità e a difendere sé stessi e i propri figli da presunti attacchi percepiti come illegittimi, squalificanti e intollerabili. Così la comunicazione di una bocciatura o di un risultato negativo non si pone come base per costruire un percorso correttivo a totale vantaggio del discente (che ne potrà trarre nel medio e lungo periodo i tipici vantaggi offerti dalla messa in atto di azioni di recupero), bensì come attacco ad un ego ipertrofico e onnipotente, tipico di chi si ritiene infallibile.

La figura del docente è oggi troppo spesso svalutata, svuotata di significato, privata delle caratteristiche che dovrebbero qualificarla come importante punto di riferimento e, in una società in cui troppo spesso tutti possono esprimere pareri su tutto, indipendentemente da qualificazione e competenza specifica, si trova ad essere indebolita rispetto alla forza da cui dovrebbe trarre origine la rilevanza di un messaggio educativo e di istruzione chiaro e valido.

Indubbiamente può succedere di imbattersi in un insegnante di scarsa competenza o che esercita in modo improprio la sua funzione e questi sono i casi in cui, senza violenza fisica né verbale, in modo civile, un genitore può aprire un dialogo o portare la situazione all’attenzione di autorità competenti per vedere riconosciute le proprie ragioni. Ma sempre salvaguardando agli occhi dei figli il concetto di base che deve riconoscere al docente autorevolezza ed autorità: funzioni imprescindibili, queste, per la riuscita del processo di crescita del ragazzo.

*psicologa e psicoterapeuta