Nella Giornata mondiale dell’ambiente, celebrata il 5 giugno e dedicata quest’anno alla lotta alla plastica in mare, il ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha dichiarato: “L’altro giorno ho letto questa notizia: 80 chili di plastica trovati in una balena in fin di vita. Terrificante. Stiamo facendo questo al nostro Pianeta. Bisogna partire da qui e cambiare radicalmente il paradigma economico che regola le nostre scelte individuali e le nostre politiche. Oggi, nella Giornata mondiale dell’ambiente, combattere la plastica è una sfida globale che ci riguarda tutti, uno ad uno. Iniziamo il nostro percorso al ministero dell’Ambiente studiando una strategia economica e culturale per iniziare, a monte, a ridurre la produzione di plastica e imballaggi inutili. Ci stiamo rimboccando le maniche per questo!”. A distanza di pochi giorni, leggo che lo stesso ministro ha manifestato l’intenzione di vietare l’uso di plastica usa e getta negli edifici pubblici.
Premesso che mi sento di ricordare come tra la plastica da abolire usa e getta ci siano i pesanti boccioni in Pet dell’acqua naturale, finché non vedrò nero su bianco la disposizione e finché non saprò che ha avuto pratica attuazione non ci crederò. L’Italia è il Paese di Pulcinella e troppi divieti e disposizioni rimangono solo sulla carta, non trovano attuazione pratica, specie quando cozzano contro interessi economici forti. Prendiamo giusto la plastica, e in particolare i sacchetti di plastica (shopper). Una norma del 1988 ne prevedeva la tassazione, il che avrebbe comportato l’onere del pagamento a carico del cliente/acquirente. Il decreto Ronchi del 1997 prevedeva la produzione solo di sacchetti di plastica ecologici. In pratica non successe nulla.
L’unica misura concreta, non già volta a diminuire la produzione ma solo a spostarla sui sacchetti biodegradabili ponendoli a carico dei consumatori, è stato il decreto legge 20 giugno 2017 numero 91 (convertito in legge 123/2017) che ha introdotto l’obbligo di “bioshopper” a pagamento per chi vende alimentari. Il Consiglio di Stato ha già evidenziato che il potenziale cliente peraltro se li può portare da casa e comunque se è vero che questi sacchetti sono compostabili è altresì vero che non sono tanto bio, poiché il 40% del materiale che li compone può essere derivato da fonti fossili. E comunque, se escludiamo la grande distribuzione che si è adeguata, se andate al mercato vedrete che nulla è cambiato. E intanto, in Italia, secondo i dati di Assobioplastica, consumiamo tra i 9 e i 10 miliardi di sacchetti di plastica e circa 150 a testa all’anno. La realtà vera è che non si sta facendo nulla, ma proprio nulla, per diminuire il consumo di plastica.
Spostiamo l’attenzione sulle bottiglie dell’acqua minerale, che sono ovviamente ben lontane dall’essere biodegradabili. Con 14 miliardi di litri all’anno, l’Italia è il Paese che consuma più acqua in bottiglia in Europa e il secondo nel mondo, dietro al Messico. E non credo che l’acqua potabile italiana sia la più schifosa al mondo dopo quella messicana. L’acqua in bottiglia è un’anomalia tutta italiana, alimentata dai bassi costi. Un business che si aggira intorno ai 10 miliardi di euro all’anno e che corrisponde a un fatturato di 2,8 miliardi per le sole aziende che imbottigliano. Tutto questo a fronte di canoni di concessione a dir poco ridicoli, che al massimo arrivano a 2 millesimi di euro al litro. Un business goloso per le imprese, come la sabbia estratta dalle cave o l’acqua termale. Basta esserci per i privati per arricchirsi. Se il pubblico imponesse canoni di concessione adeguati e non già ridicoli, l’acqua minerale costerebbe molto di più, se ne venderebbe molta di meno e diminuirebbe la produzione di plastica.
Mi rivolgo in conclusione a Lei, signor ministro. Sicuramente è buona cosa prendere immediate misure contro la plastica (a iniziare dai suoi uffici) e attenzionare – mi piace questo neologismo, almeno è italiano – l’opinione pubblica sul problema del diffondersi incontrollato della plastica. È un buon inizio ma è una goccia nel mare (di plastica): faccia molto di più per l’ambiente, senza guardare in faccia i danni che fatalmente arrecherà all’economia, perché di questo in fondo si tratta.