Quello che Silvio Berlusconi teorizzò qualche decennio fa come una nuova strada per l’urbanistica e un’opportunità per il rilancio dell’economia sta prendendo forma altrove. Sono le ‘new town’, nuovi insediamenti tirati su dal nulla, lavori ciclopici realizzati in tempo da record mediante l’opera frenetica di ruspe, di betoniere, di enormi squadre di operai.
Astana, capitale amministrativa del Kazakistan, tra pochi giorni, nel mese di luglio, festeggerà i suoi primi 20 anni. Una città nata nel mezzo della steppa per decreto del presidente Nursultan Nazarbayev, uomo forte da oltre 28 anni della Repubblica centro asiatica grande come un continente. Il paese, un tempo snodo lungo la via della seta, aveva bisogno di una nuova grandeur. Difficile rinverdire fatti storici del passato per un popolo che ha diffusamente praticato il nomadismo fino a pochi decenni fa, più facile affidarsi a grosse iniezioni di denaro e di cemento per creare una nuova urbe, meglio se con il contributo di qualche archistar internazionale. Norman Foster nel 2007 mise la sua firma sul progetto del Khan Shatyr, il grande centro commerciale a forma di tenda divenuto simbolo della capitale, un ottimo rifugio per passare le ore di svago durante i lunghi mesi invernali, quando il gelo morde con una temperatura media che tocca i 30 gradi sotto lo zero.
A distanza di soli due anni da quella inaugurazione Berlusconi, nel corso di un incontro bilaterale, espresse la sua “grande invidia” per il fatto che l’ospite kazako fosse riuscito a costruire “in otto anni una città da un milione di abitanti”. Un modello irrealizzabile nell’Italia dominata da vincoli e pastoie burocratiche, da sempre invise all’ex Cavaliere.
Un disegno invece possibile per l’Egitto, dove Il Cairo, città millenaria, potrebbe presto perdere il privilegio di essere capitale. La città destinata ad acquisirne il titolo non ha ancora un nome ma soltanto un’ubicazione precisa: a 40 chilometri ad est dall’attuale megalopoli un pezzo di deserto sta vedendo fiorire grattacieli e centri direzionali, il polmone della burocrazia ministeriale e diplomatica.
Fortemente voluta dal rais egiziano Al Sisi, sarà interessante vedere se la città in costruzione con i fondi ministeriali, anche del potentissimo esercito, decongestionerà l’attuale capitale o se 40 chilometri sono pochi per separare una città con una storia antica da una megalopoli ‘artificiale’. Nel giro di pochi decenni la ‘città (ancora) senza nome’ potrebbe trasformarsi in un’urbe dormitorio oppure – se approvati in futuro altri programmi di speculazione – ricongiungersi alla periferia del Cairo.
Chissà se Eugenio Montale guardando le metropoli costruite in pochi anni per decreto ripeterebbe queste parole: “Le innaturali concentrazioni metropolitane non colmano alcun vuoto, anzi lo accentuano. L’uomo che vive in gabbie di cemento, in affollatissime arnie, in asfittiche caserme è un uomo condannato alla solitudine”.