Gli investigatori hanno ricostruito come tra il 1978 e il 1982 l'ex maestro venerabile avesse accesso a un conto in Svizzera alimentato da versamenti provenienti da Washington. Da lì prelevava le somme poi girate all'ex Nar, unico imputato nel nuovo processo sulla strage in cui morirono 85 persone mentre più di 200 rimasero ferite.
C’era un filone di denaro che arrivava dagli Stati Uniti e finiva su un conto svizzero di Licio Gelli. E da lì passava nelle disponibilità di Gilberto Cavallini, ma anche a gruppi eversivi della destra veneta. È la scoperta fatta dalla procura generale di Bologna guidata da Ignazio De Francisci, che indaga sui mandanti e finanziatori della strage della stazione del 2 agosto del 1980. A raccontarlo è l’edizione locale di Repubblica: gli investigatori hanno ricostruito come tra il 1978 e il 1982 Gelli avesse accesso a un conto in Svizzera alimentato da versamenti provenienti da Washington. Da lì prelevava le somme poi girate a Cavallini, unico imputato nel nuovo processo sulla strage in cui morirono 85 persone mentre più di 200 rimasero ferite.
L’indagine è stata avocata dalla procura generale nell’ottobre del 2017, quando la procura aveva chiesto di archiviare il fascicolo aperto su input dei legali dell’associazione tra familiari delle vittime. Sembra quasi che De Francisci, magistrato che ha cominciato la sua carriera negli anni ’80 alla procura di Palermo, abbia seguito il metodo inventato da Giovanni Falcone nell’inchiesta sulla Pizza Connection: “Follow the money“, segui i soldi. L’ipotesi è che sulla strage di Bologna Gelli non abbia solo depistato – come dicono le sentenze – ma sia stato tra i mandanti.
L’avvocato generale Alberto Candi e il sostituto pg Nicola Proto seguono da mesi le tracce del denaro a cui si fa cenno nel ” “Bologna Bologna – 525779 – X.S.”, in cui c’è traccia di un conto aperto dal venerabile alla Ubs di Ginevra, proveniente dal fascicolo del processo per il crac del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Informazioni incrociate con quelle contenute nell’agenda sequestrata a Cavallini al momento del suo arresto il 12 settembre 1983. Come raccontato dal Fatto Quotidiano nei mesi scorsi gli investigatori hanno inviato una rogatoria in Svizzera per fare luce sui conti correnti cifrati dell’ex maestro venerale della P2 e attendono una risposta da parte delle autorità elvetiche. Nel frattempo, però, hanno cominciato una serie di interrogatori nel riserbo più totale convocando anche storici collaboratori di Gelli.
“Anche da indagini passate non è mai emerso che Gilberto Cavallini abbia preso soldi da Licio Gelli“, dice l’avvocato Gabriele Bordoni, difensore dell’ex Nar attualmente imputato di concorso nella strage. Dalla Procura generale, invece, nessun commento. Giovedì, intanto, riprende il processo a Cavallini con la prosecuzione della testimonianza di Giusva Fioravanti, condannato in via definitiva per la strage insieme a Francesca Mambro e Luigi Ciavardini. Lo stesso Fioravanti, nelle scorse udienze, ha avanzato le sue perplissità su Cavallini. “Ai tempi Cavallini mi parlava di Zio Otto (Carlo Digilio, armiere di Ordine Nuovo e poi collaboratore di giustizia), ma non gli chiesi chi era – ha spiegato l’ex leader dei Nar -, perché ognuno di noi aveva le proprie carte coperte. E visto che io sono sicuro al 99% che Digilio fosse Zio Otto, mentre Cavallini lo nega, la cosa mi turba molto. Immagino che lo faccia perché questa cosa lo imbarazza e vuole allontanare da sé l’errore di aver avuto rapporti con uno che quando fu interrogato dal giudice Guido Salvini disse di aver lavorato per 20 anni con i servizi segreti militari e non. Io su Cavallini sospendo il giudizio”.