Sono solo cinque righe all’interno di un rapporto lungo 107 pagine ma bastano a certificare una rottura che per la verità era nell’aria già da qualche tempo. È un vero e proprio attacco all’Autorità Anticorruzione quello contenuto nel bilancio di responsabilità sociale della procura di Milano. Le colpe dell’Authority guidata da Raffaele Cantone? Rendere “inutili ulteriori indagini nei confronti di soggetti già allertati”, si legge a pagina 89 del rapporto presentato oggi dal procuratore capo Francesco Greco.
“Discovery anticipata, indagini inutili” – Ma in che modo l’Anac avrebbe allertato soggetti passibili di indagini neutralizzando implicamente ulteriori inchieste dell’autorità giudiziaria? Semplice, trasmettendo in ritardo le proprie segnalazioni. “In attuazione al protocollo di intesa del 05/04/2016 l’Autorità Nazionale Anti Corruzione ha trasmesso numerosi illeciti da cui si potevano desumere fatti di corruzione. Tuttavia il ritardo con cui le notizie sono state trasmesse e soprattutto le modalità di acquisizione degli elementi (acquisizione di documentazione presso gli enti coinvolti) hanno determinato una discovery anticipata, sostanzialmente rendendo inutili ulteriori indagini nei confronti di soggetti già allertati”, è il testo integrale del paragrafo dedicato all’Anac nel rapporto della procura di Milano.
Anac: “Fastidio e stupore”. Greco: “Nessun intento polemico” – Dall’Anac nessun commento ufficiale ma filtra fastidio, meraviglia e stupore, per accuse generiche e non dettagliate. L’Autorità di Cantone rivendica la correttezza delle modalità operative tenute. Dopo la diffusione dell’estratto del bilancio, invece, il procuratore Greco ha provato a disinnescare le polemiche. “Credo che l’Anac sia importante e che il lavoro di Cantone sia encomiabile. Abbiamo solo indicato un problema tecnico sulla necessità di poter utilizzare quello che loro ci mandano in maniera più tempestiva. Non c’era alcuna intenzione polemica, i rapporti tra l’Anac e la Procura di Milano sono sempre stati ottimi”, ha detto il capo degli inquirenti milanesi.
Il caso Expo – A cosa si riferisce l’ufficio inquirente guidato da Greco? Probabilmente alle carte mandate da Cantone sulla vicenda dei 16 milioni di fondi Expo stanziati per rendere, tra le altre cose, informaticamente efficiente il palazzo di giustizia di Milano. Segnalazioni arrivate troppo tardi secondo i pm che avevano impotizzato una presunta turbativa d’asta. Su quei 16 milioni nel l’Anac aveva individuato 18 violazioni in 72 procedure del valore di circa 9 milioni di euro. Nel dettaglio 10 milioni sebbero stati spesi senza che fosse indetta una gara come previsto dalla legge. La relazione dell’Anticorruzione aveva “prodotto” un esposto presentato alla Corte dei conti, alla Procura Generale della Cassazione (per eventuali profili disciplinari a carico di magistrati), e alla procure di Milano, Brescia e Venezia per gli eventuali rilievi penali.
L’Anac e le indagini di tre procure – L’Anac aveva evidenziato violazioni del codice degli appalti perchè il comune di Milano, stazione appaltante, aveva “effettuato un improprio ricorso alle procedure negoziate senza previa pubblicazione del bando di gara”. In molte procedure, aveva scritto ancora l’Anac, “non è stata effettuata l’indagine di mercato volta a individuare la presenza di eventuali fornitori alternativi” e tra le “criticità” anche l’assenza spesso di “motivazioni vincolanti per l’affidamento del servizio al medesimo fornitore”. Eventuali reati sarebbero stati commessi tra il 2010 e il 2015 ma l’Anac si era mossa solo nel febbraio del 2017 quandoa aveva delegato la Guardia di Finanza ad acquisire documentazioni sui milioni stanziati e spesi anche per acquistare circa 170 monitor collocati di fronte alle aule nel Palagiustizia e rimasti negli anni inutilizzati. A parlare per primo di “milioni di fondi Expo per il Tribunale assegnati senza gara” era stato il blog ‘Giustiziami.it’ nel 2014.
L’indagine a Brescia – Il 28 maggio scorso, invece, i pm del capoluogo lombardo hanno deciso di trasmettere ai colleghi di Brescia gli atti dell’inchiesta, per fargli valutare eventuali profili di responsabilità penale da parte di toghe milanesi. Nella gestione degli appalti, infatti, aveva avuto un ruolo l’Ufficio innovazione del Tribunale e quello della Corte d’Appello, il primo diretto dall’allora presidente dei gip milanesi Claudio Castelli, ora al vertice della Corte d’Appello di Brescia. Da qui il fascicolo aperto anche dai pm veneziani, competenti su presunti illeciti commessi da toghe bresciane. Nel registro degli indagati della procura di Milano, invece, era iscritta (proprio per turbativa d’asta) una sola persona ma non un magistrato.