Sono 44.629 le persone sbarcate sulle coste di un Paese europeo nei primi sei mesi del 2018, la metà di quelle arrivate nello stesso periodo dell’anno precedente. E lo Stato che ha dovuto sostenere il flusso più importante non è l’Italia, come le recenti vicende delle navi Aquarius e Lifeline inducono a pensare, ma la Spagna. Sulle coste iberiche sono approdate 17.781 persone contro le 16.452 sbarcate nel nostro Paese. Nell’altro Stato che compone la frontiera esterna dell’Europa nel Mediterraneo, la Grecia, sono arrivati invece 13.120 migranti.

I dati, raccolti dal monitoraggio dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, mostrano un netto calo degli arrivi attraverso il Mediterraneo. Una condizione che va però letta insieme al dato sulle vittime diffuso circa una settimana fa dall’Unchr, che ha parlato di oltre mille persone che negli ultimi sei mesi hanno persa la vita nel tentativo di raggiungere l’Europa.

Ma i numeri dell’organizzazione mettono in chiaro anche le gerarchie tra i paesi che si trovano alle porte della cosiddetta ‘Fortezza Europa’, con l’Italia che risulta essere dietro alla Spagna per quanto riguarda il numero di persone sbarcate. Un dato da non confondere con quello sulla successiva divisione nei diversi paesi europei, uno dei temi caldi sul tavolo del vertice in corso in queste ore a Bruxelles. I dati sull’accoglienza che stanno dividendo l’Unione riguardano infatti il ricollocamento dei richiedenti asilo, ovvero coloro che hanno fatto richiesta per ottenere lo status di rifugiato ma sono ancora in attesa di una decisione da parte delle autorità competenti per il riconoscimento.

Tra le nazionalità dei migranti sbarcati nel Mediterraneo la più numerosa è quella siriana (22% ). Un flusso che ha come sbocco naturale la Grecia, nonostante l’accordo stipulato tre anni fa tra l’Unione Europea e la Turchia, che aveva accettato di farsi carico dei migranti respinti dal paese ellenico in cambio di aiuti finanziari per 3 miliardi di euro. Ed è proprio questo un altro punto su cui si discute a Bruxelles, con l’Italia che ha tra le mani anche la carta di un possibile veto ai fondi ad Ankara per il biennio 2018-2019.

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