Stavolta non c’era nemmeno Byron Moreno. La Corea del Sud ha fatto tutto da sola. E non le serviva a niente. Vincere due a zero. Segnare due volte oltre il novantesimo. Irridere i campioni del mondo. Prendersi beffa dei tedeschi. Quando al 96esimo Son Heung-Min ha insaccato il secondo gol, con Neuer fermo al chiosco delle bibite a ordinare birra e hot dog (c’era fila, capita), si è messo pure a ridacchiare. Proprio come quei compagni delle medie che dopo aver fatto lo scherzone pesante godono come mandrilli. Sembrava tutta una comica di Ridolini, Corea del Sud – Germania a Russia 2018. I tedeschi che sbagliano qualsiasi tiro. Il tempo che passa. Le gambe pesanti. Lo spread che sale. La Merkel che pensa a quale giacchetta colorata deve mettere domani, dopo quella color puffo di ieri, e quella porpora di ieri l’altro. E i coreani che stanno tutti lì a ripetere presunti schemi e schemini, come laborioso formichine, senza cavarne un ragno dal buco.
Un importante quotidiano italiano del colore delle giacche della Merkel, nelle presentazioni delle squadre qualificate ai Mondiali, ipotizzava perfino un passaggio del turno da parte della Corea del Sud. Ma l’ “effetto Corea” è sempre la stesso dalla notte dei tempi. Nord o Sud, poco importa. Pak Doo Ik o Ahn Jung-hwan non fa differenza. Kim Jong-un o Lee Nak-yeon oramai nessuno li distingue più. L’importante per la Corea ai Mondiali è vincere quando non serve a un tubo. Fino alla partita prima non ne imbroccano una. Non mettono in fila quattro passaggi quattro. Poi all’improvviso l’illuminazione. Una volta si diceva “il gol della bandiera”. Lo scatto d’orgoglio. La marcatura per dire “sarete più forti ma noi abbiamo un cuore”. Oggi invece i coreani giocano alla goleada a partita finita. Scherzano, ridono, saltellano anche se non serve a niente. Le telecamere di Mediaset non l’hanno ripreso, ma attorno a Low si è pure dato vita ad un memorabile torello. Poi stop. Tutti a casa. Con l’assistente Fifa a ricordare a squadra e panchina coreana che il mondiale non era finito solo per la Germani ma anche per loro. E i tre Kim compagni di squadra attoniti a guardare l’uno le spalle dell’altro chiedendosi: ma che, fratello, mi hai rubato la maglia? Quando nel 2002, giocando i mondiali in casa, la Corea del Sud arrivò perfino in semifinale, da alcune inquadrature fino a ieri inedite, si è scoperto che gli arbitri che li avevano diretti nel girone eliminatorio, agli ottavi, ai quarti, sotto la casacca ufficiale avevano una maglia con scritto Kim. E da stasera pure la Merkel, sotto la giacca color avio di oggi, porta il marchio coreano Kim. Da ventiquattro angolazioni diverse.