La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, con una sentenza non appellabile, ha stabilito che l’Italia non avrebbe dovuto confiscare per costruzione abusiva i terreni di Punta Perotti, a Bari, senza una una previa condanna dei responsabili. Nella sentenza, che riguarda anche i casi di Testa di Cane e Fiumarella di Pellaro, a Reggio Calabria, e Golfo Aranci, in provincia di Olbia, i giudici sostengono che le autorità italiane hanno violato il diritto al rispetto della proprietà privata.
Il complesso immobiliare di Punta Perotti, costruito nel 1995 dalla famiglia Matarrese assieme agli imprenditori Andidero e Quistelli, fu demolito nel 2006 dopo che i magistrati ne avevano ordinato il sequestro preventivo perché, secondo le accuse, deturpava l’area naturale protetta della zona costiera.
Anche se i costruttori vennero assolti in primo grado e in appello, la Cassazione annullò la sentenza di appello, ripristinando la confisca della lottizzazione e dando il via libera alla demolizione. L’abbattimento dell’ecomostro provocò una richiesta di risarcimento da parte dei Matarrese, con la Corte europea dei diritti dell’uomo che nel maggio 2012 condannò lo Stato italiano a pagare 49 milioni di euro.
Secondo la Corte di Strasburgo, i fatti contraddicono la tesi secondo la quale le confische hanno “effettivamente contribuito alla protezione dell’ambiente”, cioè l’obiettivo dichiarato dallo Stato italiano. I giudici hanno anche osservato che l’applicazione automatica della confisca in caso di abusivismo prevista dalla legge italiana “è chiaramente inadatta, dato che non permette ai tribunali di definire quali strumenti sono i più appropriati in relazione alle circostanze specifiche del caso”.
“Si tratta di una sentenza uguale a quella del 2012 con cui già la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva condannato lo Stato italiano a risarcire la società che aveva realizzato il complesso edilizio sul lungomare di Bari”, commenta l’ingegner Michele Matarrese. “Evidentemente qualche altro proprietario avrà presentato ricorso, così è arrivata la sentenza bis – aggiunge – ma non mi meraviglio perché quello era stato già l’orientamento della Corte sei anni fa”.