L'ex leader del Nar ha praticamente ripreso un discorso già fatto da Mambro che aveva parlato di eventuali "vie d’uscita", offerte ai terroristi per smarcarsi dall'eccidio, accusando altre persone di quanto era successo. "Sì, ce l’hanno detto più volte quasi tutti i magistrati che hanno collaborato alla fase delle indagini, ma anche nel dibattimento", ha detto il teste. Il presidente dell’associazione dei familiari delle vittime: "Butta discredito su una persona che costantemente e metodicamente ha cercato la verità"
Si è scagliato contro il pubblico ministero che per primo si occupò della strage di Bologna. Un massacro per il quale è stato condannato ma per cui si considera ancora oggi innocente. Valerio Fioravanti ha concluso oggi la sua testimonianza al processo in corso sull’eccidio che il 2 agosto del 1980 uccise 85 persone ferendone otre duecento. L’unico imputato è Gilberto Cavallini, accusato di concorso nell’eccidio per il quale sono stati condannati in via definitiva Francesca Mambro, Luigi Ciavardini e appunto lo stesso Fioravanti. Poco prima della conclusione della sua testimonianza, l’ex Nar ha risposto a una domanda del presidente della corte d’Assise, Michele Leoni. E lo ha fatto tirando in ballo l’ex sostituto procuratore di Bologna, Claudio Nunziata, uno dei primi ad indagare sull’attentato.
Giusva attacca il pm che indagava sulla strage – Fioravanti ha praticamente ripreso un discorso già fatto da Mambro: all’udienza del 6 giugno, infatti, la donna ha partato di eventuali “vie d’uscita“, che sarebbero state offerte ai Nar per smarcarsi dalla strage, accusando altre persone di quanto era successo. “Sì, ce l’hanno detto più volte – ha ribadito Fioravanti oggi -, e più volte anche dei giornalisti ci hanno detto di aver parlato con dei pm e loro sapevano che non eravamo stati noi”. A questo punto Leoni ha chiesto all’ex terrorista: “Chi vi ha dato questo consiglio?”. Fioravanti ha replicato: “Quasi tutti i magistrati che hanno collaborato alla fase delle indagini, ma anche nel dibattimento. Non credo che ci abbiano detto di accusare Giorgio Vale (come disse Mambro ndr.), hanno detto che dovevamo accusare due morti per essere lasciati in pace, e noi abbiamo dedotto che i due morti fossero Vale e Alessandro Alibrandi”. Poi l’ex Nar ha aggiunto: “Erano magistrati semplici, uno molto sgradevole mi pare fosse Claudio Nunziata, che insisteva nel dirmi che sarei morto in cella e che quindi era meglio se parlavo. Poi con toni meno sgradevoli è un argomento che hanno usato anche altri”.
Bolognesi: “Ritorsioni” – Parole che per Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime della strage, sono “ritorsioni più che altro. Ha tirato fuori che praticamente tutti i magistrati gli consigliavano così. Sono cose di poco conto. Ha voluto mandare un’accusa a Nunziata soprattutto per buttare del discredito su una persona che costantemente e metodicamente ha cercato la verità”.
Il passaggio su Falcone – Come fece Mambro, poi, anche Fioravanti ha parlato di Giovanni Falcone e del suo coinvolgimento nel delitto di Piersanti Mattarella, omicidio per il quale è stato processato e assolto. “Due o tre giorni dopo la puntata di Samarcanda in cui Leoluca Orlando disse che Falcone aveva le prove contro i fascisti ma le teneva nascoste – ha sostenuto l’ex capo dei Nar – il magistrato mi chiamò e mi disse: Fioravanti io non credo a questa cosa, ma lei si rende conto che a questo punto se non procedo divento anch’io della P2″. A quel punto, ha continuato l’ex Nar, “io ragionai così: so cosa si vuole da me, se avessi un mandante da proteggere confesserei, direi di aver commesso l’omicidio con un amico, magari morto, inventerei un mandante, tutti sarebbero contenti e non avrei nulla di cui vergognarmi. Ma decisi di non farlo”. Poi, ha continuato Fioravanti, Falcone “mi fece trasferire nella gabbia di vetro, una cella con una parete di vetro e quattro agenti che ti sorvegliano, e per sei mesi sono stato così, perché l’assunto era che dovevo essere protetto”. Una ricostruzione che ovviamente non può essere smentita visto che il giudice palermitano è stato assassinato nella strage di Capaci il 23 maggio del 1992.
Il rapporto con Cavallini – Nella sua testimonianza, Fioravanti è tornato anche a parlare del suo rapporto con Cavallini. “Con Cavallini – ha detto – c’era cameratismo, rischiavamo la vita insieme e non ci facevamo troppe domande. Se c’era stima? Credo mi sopportasse”. Il presidente della Corte d’Assise, Michele Leoni, ha letto a Fioravanti lo stralcio di una lettera sequestrata a Cavallini, in cui si parla dell’omicidio di Francesco Mangiameli e non si risparmiano critiche (“In lui come in tutti noi è mancato l’uomo…) all’ex capo dei Nar. “C’è un motivo – ha replicato Fioravanti -, per cui l’amicizia con Cavallini non è sopravvissuta ai decenni”. Proprio ieri l’edizione locale di Repubblica ha raccontato della scoperta fatta dalla procura generale di Bologna guidata da Ignazio De Francisci, che indaga sui mandanti e finanziatori della strage: ci sarebbe stato un filone di denaro che arrivava dagli Stati Uniti e finiva su un conto svizzero di Licio Gelli. E da lì passava nelle disponibilità di Gilberto Cavallini.
Parla il nero pentito – Durante l’udienza odierna, però, la procura ha smentito di essere in possesso di un’informativa in tal senso. Che quindi non sarebbe mai stata girata dalla procura generale all’ufficio inquirente che rappresenta la pubblica accusa nel processo a Cavallini. Dell’imputato ha parlato anche Paolo Aleandri, 63 anni, ex terrorista di destra tra i fondatori della rivista Costruiamo l’azione e dopo il suo arresto nel 1981 collaboratore di giustizia. Aleandri ha spiegato di aver conosciuto Cavallini con il soprannome di “Gigi“, grazie a Massimiliano Fachini, tra i leader di Ordine Nuovo in Veneto. “Lui era latitante in quella regione e Fachini lo aiutava. Poi lo rividi diverse volte a Roma, a casa mia”. Il testimone chiamato dalle parti civili ha risposto a molte domande anche su Gelli, che ha detto di aver incontrato “sette o otto volte, a casa sua o nell’hotel Excelsior di Roma. Per me Gelli era genericamente il capo di questa cellula massonica, ma quando lo frequentavo non era ancora quello che poi è diventato. Mi sembrò un uomo di potere, ma non lo temevo”.
In aula anche Fiore – Prevista per una delle prossime udienze è l’audizione di Roberto Fiore. Secondo il presidente dalla Corte la testimonianza del leader di Forza Nuova è necessaria perché durante il dibattimento la figura di Fiore è più volte emersa in relazione ai fatti che hanno visto protagonista l’imputato. Fiore, all’epoca leader di Terza Posizione, era stato citato come teste dai legali di parte civile, ma inizialmente non era stato ammesso. Assieme a lui sarà sentito anche Fabrizio Zani, ex terrorista, tra i fondatori dei Gruppi per l’ordine Nero.