Scelto da Ronald Reagan nel 1988, è stato per anni l'ago della bilancia fra giudici conservatori e liberal. Ha difeso il diritto all'aborto e i diritti gay, ma ha anche dato il via libera allo sfruttamento più intenso del suolo e alle intercettazioni da parte del governo federale. Con le sue dimissioni, il capo della Casa Bianca può scegliere un giudice conservatore e condizionare per decenni la società americana
“È stato l’onore più grande e un privilegio servire la nostra Nazione nella giustizia federale per 43 anni, 30 dei quali alla Corte Suprema”. Così Anthony Kennedy annuncia la sua decisione di dimettersi dal massimo organo della giustizia americana. Donald Trump ha già annunciato di aver iniziato la ricerca per il sostituto di Kennedy. Parte a questo punto la battaglia politica forse più epica e importante di una presidenza già segnata da molti scontri e polemiche. Trump ha la possibilità di scegliere un giudice solidamente conservatore e di spingere ancora più a destra l’asse della politica e della società americane per le prossime generazioni.
Le dimissioni di Kennedy erano nell’aria già da tempo ma la loro formalizzazione ha gettato lo scompiglio nel campo democratico e in molti gruppi liberal. Gira un audio, registrato a un incontro del Democratic National Committee, in cui si sentono i democratici esclamare “Oh My God” all’arrivo della notizia. Nancy Pelosi, la leader democratica della Camera, ha subito spiegato: “È in gioco il futuro della nostra democrazia”. E una email partita da un gruppo progressista, il Center for American Progress Action Fund, diceva in serata: “Voi pensate che l’attuale Corte sia stata terribile? Se Donald Trump riesce a nominare il prossimo giudice, ci aspettano dai trenta ai quaranta anni di attacchi viziosi e illimitati ai nostri diritti”.
Kennedy, 81 anni, è stato dalla sua nomina il centro ideologico della Corte, il voto che “ballava” tra conservatori e liberal. Lo scelse Ronald Reagan, nel 1988, come sua terza scelta, dopo aver cercato di imporre al Senato un giudice troppo conservatore, Robert Bork, e un altro, Douglas Ginsburg, che si fece da parte dopo aver ammesso l’uso della marijuana da giovane. Per Reagan, Anthony Kennedy fu l’uomo giusto per uscire dall’impasse. Un uomo di legge moderato, conservatore ma non troppo, cattolico in una Corte allora prevalentemente protestante, con una storia legale di rispetto del potere politico e della Costituzione come è stata scritta, più di come deve essere interpretata. La sua nomina, nel febbraio 1988, fu sostenuta dal Senato degli Stati Uniti, che votò all’unanimità.
In questi trent’anni, Kennedy è stato esattamente quello che molti avevano previsto. L’uomo che in una Corte profondamente divisa tra quattro giudici conservatori e quattro liberal, ha offerto lo “swing vote”, il voto che dava la vittoria ora a un blocco ora all’altro. Kennedy si è schierato con i conservatori in sentenze chiave: la “Citizen United”, che ha dato a imprese e corporations la possibilità di finanziare liberamente la politica; il “District of Columbia v Heller”, che appoggiava il diritto di portare un’arma e aboliva il bando ad armi e fucili di Washington D.C.; e ancora sentenze che davano il via libera allo sfruttamento più intenso del suolo, alle intercettazioni da parte del governo federale, a minori garanzie nella protezione del voto delle minoranze. Ma Kennedy è stato anche il giudice che ha difeso il diritto all’aborto (riconosciuto dalla celebre sentenza, la “Roe v Wade” del 1973); che ha limitato per quanto possibile le condanne capitali; che ha difeso e allargato i diritti gay. Portano la sua firma almeno quattro sentenze decisive nella storia della libertà omosessuale; soprattutto l’ultima, del 2015, che riconosceva i matrimoni omosessuali con la frase, diventata celebre, secondo cui “nel formare un’unione matrimoniale, due persone diventano qualcosa di più grande”.
È vero che negli ultimi tempi Kennedy ha votato sempre più in linea con i conservatori. Per esempio in un caso, deciso dalla Corte alcuni giorni fa, in cui si è deciso che i sindacati non possono più raccogliere quote dai lavoratori federali senza il loro consenso (un duro colpo per le unions americane). Ma è anche vero che Kennedy, per anni, ha offerto un tono e una visione di moderazione rispetto agli slanci conservatori e in alcuni casi apertamente autoritari di altri giudici. Per esempio, alcuni giorni fa, pur sostenendo il bando di Trump agli arrivi da alcuni Paesi a maggioranza musulmana, Kennedy ha aggiunto una clausola in cui si dice chiaramente che il “primo emendamento… promette il libero esercizio della religione”. Un modo per porre chiari paletti a nuove prese di posizione anti-Islam di questo presidente.
Proprio a Trump tocca ora di scegliere il successore di Kennedy. La posta in gioco è chiara a tutti. Un giudice della Corte Suprema, soprattutto se scelto piuttosto giovane, ha la possibilità di modellare con le sue sentenze la vita americana per anni. Sin dalla sua prima riunione, nel 1790, la Corte è l’organo che offre essenziali checks and balances, che valuta la costituzionalità delle leggi approvate dal Congresso, che riconosce diritti e libertà o blocca presunte fughe in avanti. È stata la Corte, con una sua sentenza, la “Brown v Board of Education”, a mettere fine alla segregazione razziale negli Stati Uniti; è stata la Corte a riconoscere, appunto, il diritto all’aborto, alle protezioni sindacali, ai matrimoni gay. È stata la Corte, nel 2000, a bloccare la riconta in Florida e a dare a George W. Bush la vittoria contro Al Gore. Per questo, secondo molti, il potere di un giudice della Corte, nominato a vita, è persino superiore a quello di un presidente degli Stati Uniti.
Ecco perché la scelta di Trump è fondamentale. Ecco perché i repubblicani appaiono galvanizzati e i democratici terrorizzati. Scegliere un giudice conservatore, come Trump sembra orientato a fare, significa fissare (e probabilmente limitare) i diritti e le libertà americane per i futuri cinquant’anni. A rischio, soprattutto, il diritto all’aborto, le leggi sull’affirmative action, le protezioni sui luoghi di lavoro per gli omosessuali, le tutele sindacali, le garanzie riconosciute dal “Voting Rights Act”, i diritti degli arrestati e dei condannati alla pena di morte. Trump ha già fatto sapere di voler scegliere il successore di Kennedy nella rosa di 21 nomi presentata alcuni mesi fa, quando si trattò di trovare un successore al defunto Antonin Scalia. Allora Trump scelse un candidato, Neil Gorsuch, che in tutte le ultime sentenze ha appoggiato le richieste del presidente. Il prossimo giudice – già si fanno alcuni nomi: Brett Kavanaugh, Raymond Kethledge, Amy Coney Barrett – sarà probabilmente sulla stessa lunghezza d’onda: un “originalista”, come amano dire i conservatori, un uomo di legge che “legge la Costituzione per come è stata scritta e non per come alcuni pensano di interpretarla”.
Il nuovo giudice, nominato dal Presidente, deve però essere confermato dal voto del Senato. Di qui la fretta che i repubblicani già mostrano. A novembre ci sono le elezioni di midterm. Poco probabile che i democratici riescano a conquistare il Senato (in questo modo potrebbero bloccare la nomina), ma comunque meglio non rischiare. Mitch McConnell, leader repubblicano del Senato, ha cancellato parte delle vacanze dei senatori, ad agosto, per valutare le nomine giudiziarie di Trump. Una norma, introdotta proprio da McConnell per la conferma di Gorsuch, permette di far passare il nuovo giudice con una maggioranza semplice e non più con una maggioranza qualificata di sessanta voti. La cosa sembra alla portata dei repubblicani, che insieme al movimento conservatore esultano per la possibilità di rimodellare la Corte Suprema.
Palpabile è invece lo scoramento e le paure dei progressisti. Si teme soprattutto per il diritto all’aborto – Trump in campagna elettorale promise di cancellare la “Roe v Wade” – ma è l’intero orizzonte di diritti che sembravano garantiti una volta per tutte a vacillare. “Siamo all’allarme rosso per il popolo americano – ha detto il senatore del Connecticut Chris Murphy -. Dobbiamo far in modo che la Corte non prenda una strada viziosa, anti-lavoratori, anti-donne, anti-Lgbt, anti-diritti civili”. I democratici, al momento, non sembrano però avere grandi chances. La realtà è che Trump con la sua scelta può condizionare la società americana per i prossimi decenni. Allacciamo le cinture, verrebbe da dire, sta per iniziare la battaglia forse più importante e decisiva per una presidenza che sta davvero cambiando e sconvolgendo l’America.