Finiti agli arresti domiciliari nel dicembre 2015, i due - ormai ex agenti - sono stati condannati dalla Cassazione in via definitiva. Alcune delle donne finite a processo avevano parlato dei "soprusi" subiti dagli uomini in divisa: secondo la ricostruzione dell'accusa, avrebbero chiesto e ottenuto soldi per chiudere un occhio sui furti ai danni dei turisti in stazione Centrale
Dovranno scontare 6 anni i due ormai ex poliziotti finiti agli arresti domiciliari nel dicembre 2015 con l’accusa di aver spartito con una banda di nomadi il bottino di una serie di furti ai danni di passeggeri alla stazione Centrale di Milano. Il verdetto della Cassazione ha confermato la sentenza della Corte d’Appello di Milano che, lo scorso novembre, aveva portato le pene da 7 a 6 anni riqualificando il reato di concussione in induzione indebita, in base alla riforma Severino. La condanna diventa così definitiva.
I due agenti vennero arrestati nell’inchiesta che aveva portato in carcere anche 23 nomadi di origine serbo-bosniaca, tra cui molte donne, accusati di associazione per delinquere finalizzata ad una serie di furti. L’inchiesta condotta dalla polizia ferroviaria e dalla squadra mobile e coordinata dal pm Antonio D’Alessio, allora in servizio a Milano, era nata proprio dalle denunce di donne nomadi che avevano parlato sia delle “imposte” o “gabelle” sui proventi dei furti che i capi dell’associazione richiedevano, che dei “soprusi” dei due poliziotti, ancora ai domiciliari.
Il gruppo di nomadi riusciva ad incassare tra i 5mila e 20mila euro a settimana rubando portafogli, orologi e gioielli a facoltosi turisti, soprattutto giapponesi, americani o di origine araba, anche con la scusa di aiutarli all’interno dei treni, lungo i binari e sui tapis roulant della stazione. E per chiudere un occhio, questa la ricostruzione degli inquirenti, i due poliziotti (uno dei due era definito “il cowboy” dalle donne intercettate), allora in servizio alla sezione di contrasto ai crimini diffusi, avrebbero chiesto e ottenuto soldi, come documentato dai filmati delle telecamere di sorveglianza. Già in primo grado il Tribunale aveva dichiarato “estinto il loro rapporto con la pubblica amministrazione di riferimento”.