Come in tutti i confronti pubblici su questioni importanti e con rilevanti interessi anche economici in gioco, il dibattito sulla proposta di direttiva europea in materia di diritto d’autore è caratterizzato da tesi contrapposte – e, in democrazia, è naturalmente bello e importante che sia così – e, poi, da una serie di argomenti falsi e pretestuosi messi in campo allo scopo di sostenere l’una o l’altra tesi. Questi argomenti naturalmente non fanno bene all’individuazione della soluzione migliore, inquinano e minacciano l’utilità del dibattito e, soprattutto, in democrazia, non meritano né rispetto, né tutela.
Vale, dunque, la pena, a prescindere dalla posizione di ciascuno – la mia in proposito credo di averla espressa chiaramente qui – provare a isolarli nella maniera più obiettiva possibile.
1. Essere contrari alla proposta di direttiva europea non significa affatto essere contrari al diritto d’autore né non avere a cuore le sorti dell’industria creativa o di quella editoriale. Il dibattito non è – e non avrebbe senso che fosse – tra chi è pro e contro il diritto d’autore. Il dibattito riguarda esclusivamente una specifica ricetta identificata nella proposta contro alcune patologie del mercato. La si può criticare e non condividere senza negare l’esistenza di tali patologie.
2. La proposta di direttiva non riguarda l’introduzione di nessuna nuova tassa né, tantomeno, di una tassa sui link. “Link-tax” è una definizione giornalistica (è presente persino nel titolo del mio ultimo post, ndr) mediaticamente di impatto ma giuridicamente non corretta. La proposta di direttiva prevede l’introduzione di una nuova forma di “equo compenso” che toccherebbe agli editori a fronte dell’utilizzo commerciale di link e snippet ai loro contenuti. La dinamica sarebbe analoga a quella che contraddistingue il fenomeno della cosiddetta “copia privata”: chi compra un supporto o un dispositivo idoneo a essere utilizzato anche per copiare un’opera protetta da diritto d’autore versa un compenso che dovrebbe poi finire nelle tasche dei titolari dei diritti per indennizzarli della circostanza che, per effetto dell’eventuale copia di una loro opera, non incassano alcun compenso a fronte della vendita di una copia in più. Non una tassa, dunque ma un compenso per l’utilizzazione di un’opera protetta da diritto d’autore.
3. Non è vero che essere contrari alla proposta di direttiva significa consegnare Internet ai giganti del web come Google, Facebook & c.. Nel medio periodo è, probabilmente, vero l’esatto contrario. Sebbene obbligandoli a taluni adempimenti, la proposta di direttiva consegna nella mani dei big della Rete tutti gli strumenti necessari a determinare – più di quanto innegabilmente già facciano oggi – la dieta mediatica di miliardi di cittadini del mondo. E’, infatti, ovvio che se per Google & soci aggregare taluni contenuti non costa nulla e aggregarne degli altri ha un costo, tali soggetti – come sta già avvenendo in Spagna – aggregheranno i primi e non aggregheranno i secondi. Potremmo, insomma, trovarci presto a leggere più facilmente taluni giornali, magari extra-europei anziché altri – europei – solo perché gli articoli sui primi potrebbero essere indicizzati e aggregati a costo zero. E non basta perché anche imporre a Google & c. di rispondere per i contenuti pubblicati dagli utenti e obbligarli a utilizzare sistemi automatici di blocco di taluni contenuti, rischia di produrre esattamente la stessa conclusione. I gestori delle piattaforme, per abbattere il rischio e massimizzare il profitto così come gli impongono le regole del mercato, sarebbero di manica larga nel bloccare i contenuti degli utenti qualsiasi e, invece, potrebbero scegliere di correre qualche rischio in più davanti ai contenuti di chi fosse in grado, in caso di problemi, di assumersi le proprie responsabilità avendo le tasche sufficientemente profonde. Difficile immaginare uno scenario nel quale i giganti della Rete potrebbero disporre di maggior potere sul controllo dell’informazione globale.
4. La proposta di direttiva non ha niente a che vedere con la libertà di stampa e la democrazia. Non è certamente l’equo compenso previsto all’articolo 11 della proposta di direttiva che salverà l’industria editoriale dalla crisi economico-finanziaria che sta attraversando e che consentirà alla piccole e medie imprese di sopravvivere. Per un verso il “gettito” ipotizzabile è modestissimo rispetto al deficit del settore e, per altro verso, se le grandi piattaforma di aggregazione di link e contenuti decidessero – come già avvenuto in Spagna – di cessare tale attività, a farne le spese immediatamente sarebbe proprio il pluralismo dell’informazione perché gli editori più piccoli perderebbero ogni chance di essere raggiungibili dal grande pubblico accanto ai contenuti degli editori più blasonati. Probabilmente, sotto tale profilo, è vero l’esatto contrario: la proposta di direttiva pone la libertà di informazione in una posizione davvero delicata.
5. Non è vero che la proposta di direttiva sul copyright abbia intenti censorei e liberticidi e probabilmente non è neppure vero che sia il risultato di lobbisti scaltri e parlamentari poco consapevoli e facili da piegare alle ragioni del mercato. Censorei sono solo alcuni degli effetti collaterali che la proposta di direttiva potrebbe produrre mentre le sue origini sono, più semplicemente, da imputare alla circostanza che, purtroppo, è più facile aggregare consensi attorno all’esigenza di difendere uno o più comparti industriali ed uno o più mercati che di difendere una o più libertà o diritti civili. Ma la responsabilità di questo stato di cose non può essere addebitata all’industria dei contenuti perché appartiene a ciascuno di noi e ai decenni di disinteresse nel corso dei quali abbiamo abbandonato all’oblio ogni genere di diritto fondamentale dell’uomo e del cittadino.
E, ora, riprendiamo pure a discutere tra favorevoli e contrari alla proposta di direttiva ma facciamolo – lo dico a me stesso e a chi la pensa come me prima che a chi la pensa in modo diverso – senza utilizzare questi cinque argomenti nelle decine di diverse possibili declinazioni utilizzate nelle ultime settimane.