Cinema

Marcello Mastroianni, otto film per un omaggio non scontato del Cinema Ritrovato a un divo universale

Sirena glamour maschile mai tramontata, attore inimitabile e indimenticabile, ma anche icona del manifesto lieto e gentile del festival organizzato a Bologna

di Davide Turrini

C’è chi lo ricorda vestito di bianco in riva al mare, sul finale de La dolce vita, mentre alza le mani e le allarga come per dire “e che vuoi che ti dica?”. C’è chi circoscrive gli istanti in cui, cappelletto nero sbilenco e megafono da set, detta ordini agli attori sul finale di 8 ½. O ancora chi ha in mente l’incipriato e anziano Casanova in fuga dalla furia rivoluzionaria del 1789 ne Il mondo nuovo. Ad ognuno il suo Marcello Mastroianni. Divo universale, sirena glamour maschile mai tramontata, attore inimitabile e indimenticabile, ma anche icona del manifesto lieto e gentile del Cinema Ritrovato 2018 a Bologna. L’omaggio per nulla scontato, visto che non ci sono celebrazioni o anniversari dovuti, è una sezione del festival – Marcello come here – di otto film di raro pregio che tracciano una linea non proprio nota dell’attore Mastroianni.

Vederlo contadino ciociaro in Giorni D’Amore (1954), regia di Giuseppe De Santis, ad esempio, in mezzo a piante di pomodori e con addosso una canottiera bucherellata, pantaloni stracciati, a lavarsi con l’acqua di un secchio e a rimettersi i vestiti sporchi, è davvero una primizia cinefila spiazzante. Marcello/Pasquale oltretutto vorrebbe sposare la bella contadinella vicina (Marina Vlady) ma ad entrambi mancano i soldi per corredo, vestiti e pranzo di matrimonio. Siamo dalle parti di un neorealismo buffo e disinvolto, di una realtà di povera gente del dopoguerra che come nei film olmiani dorme accatastata in cucina o in sala con tendine come separé. Un racconto popolare, sagace e appassionato, dove la tragedia della misera è stemperata dall’allegria paesana e da una certa “teatralità della tipizzazione” delle famiglie contadine attorno ai protagonisti. Mastroianni qui è sex symbol campagnolo ancora acerbo (ha sui 30 anni) ma tutt’altro che privo di charme e magnetismo, perfetto nella sua disinvolta mimesi anti Actor’s Studio. “Una figura d’attore irripetibile che ha coniugato aspetti difficile da coniugare: il grande interprete e l’icona, l’eleganza e l’empatia, la sensibilità e lo scanzonato disincanto”, scrivono Morreale e Farinelli nel testo che accompagna la presentazione della sezione. Cronaca familiare di Valerio Zurlini (1962) arriva appena prima del successo planetario di 8 ½. Qui Mastroianni è Enrico, fratello adulto di Lorenzo (Jacques Perrin), responsabile prima suo malgrado, poi gradualmente sempre più attaccato, del ragazzo, in una cupa Firenze anni trenta descritta prima ancora nel romanzo di Vasco Pratolini. Film grave e tragico, dolente e mai screziato da nuance umoristiche, in cui di Mastroianni, come scrisse Tullio Kezich, appare “il suo volto più segreto e la sua capacità di mettere a nudo, con i mezzi della recitazione, il cuore di un personaggio”.

Nell’incredibile delirio pop diretto da Eduardo De Filippo, Spara forte, più forte… Non capisco! (1966) Mastroianni era già diventato divo con il terzetto De Sica-Ponti-Loren. Con i capelli tinti di biondo, un filo di barbetta molto raffinata, qui è lo scultore venditore di fuchi artificiali Alberto che condivide una casa piena di strumenti del mestiere e tante sedie con zio Nicola, muto da 50 anni per protesta col mondo e che parla solo attraverso i botti. Durante una strana notte, in cui la bella Tania gli dà un passaggio (Raquel Welch con accento piemontese), Alberto crede di aver visto un omicidio. Ma nel tortuoso tragitto dell’inseguimento di colpevoli e ritrovamento di indizi, riceve un pugno che lo farà svenire e lo costringerà a chiedersi, al risveglio, se tutto ciò che ha visto è onirico delirio o realtà. Fine e delicato come una piuma che si deposita leggera su una montagna di caos partenopeo, Mastroianni gioca su più registri del comico la sua strampalata incredulità, mostrando un ulteriore dato attoriale della sua multiforme carriera. “L’attore di qualità arriva sul set pronto a recepire quello che gli sta attorno.

La sua idea di personaggio si completa durante le riprese. Questa è una caratterista di Mastroianni”, racconta Mario Monicelli, regista de I compagni (1963), altro film in programma in cui l’attore laziale interpreta il professor Sinigaglia, avanguardia  socialista di fine ottocento, in una Torino operaia dove si svolge lo sciopero degli operai in una grossa fabbrica. “Dopo avere letto la sceneggiatura rimuginava sul personaggio e imparava le battute a grandi linee. Poi, appena si trovava sul posto si guardava attorno, gli bastavano due tre prove non di più, e allora gli scattava un meccanismo di immedesimazione (…) La qualità di Mastroianni stava nell’assorbire un personaggio senza darlo a vedere. In lui l’indolenza diventa un pregio, ne accresce il fascino”.

Anche il grande John Boorman, che ebbe l’idea di costruire su Mastroianni Leone l’ultimo (1970), un suo piccolo capolavoro sconosciuto ai più, e qui presente in Marcello come here, racconta di averlo reclutato mentre era seduto sulla terrazza di palazzo Gritti, a Venezia, insieme alla fiamma di allora, Faye Dunaway. Boorman ne loda le doti di duttilità, il fatto che fosse un “attore privo di vanità, autoironico, a suo agio con se stesso”, infine racconta di quando dovettero girare una scena in cui Mastroianni dormiva a letto. “Mentre posizionavamo le luci e preparavamo la scena, Marcello si è addormentato per davvero. Abbiamo dovuto svegliarlo perché recitasse la parte del personaggio che dorme”.

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