Non riusciva a dormire sereno il nostro ministro: questa segmentazione era certamente foriera di qualche pensiero, di qualche riflessione. E cominciò a rimuginare.
Si concentrò dapprima sull’area Grandi consumi. Certo, non stava usando un approccio scientifico, ma cercava di capire un po’ a braccio. Davanti a sé vedeva valanghe di prodotti cinesi: brutt’affare!, non soltanto per quanto riguarda le end-use, dove non abbiamo abbastanza aziende in grado di soddisfare grandi domande di mercato. La visione era drammatica anche per quanto riguarda le aziende di subfornitura sia high-tech che middle-tech. Percepiva netta la sensazione che, come si dice a Napoli: “Nun è cosa”. D’altro canto, se il mercato internazionale sta espellendo la manifattura italiana qualche ragione pur ci sarà. E, nel mondo del business, avere anche solo una brutta sensazione è motivo di grande, grandissima prudenza.
Poi il ministro spostò l’attenzione sulla fascia dei Limitati consumi. E fece qualche interessante riflessione.
Ebbe una rapida visione della più classica delle voglie di qualsiasi imprenditore: ricevere grandi ordini, di quelli che sistemano per un buon periodo la copertura di lavoro ai suoi impianti? Quale imprenditore sfugge all’ansia da back-log? Non ci volle molto per notare una certa affinità fra il nostro sistema manifatturiero e quei mercati caratterizzati da limitati consumi. Un’affinità certamente superiore a quelle con i mercati dai grandi consumi.
Se il nostro Paese, col suo sistema manifatturiero, si indirizza verso il mondo dei grandi consumi, ebbene, non si può non avere la sensazione di un Paese gregario, subordinato, portatore d’acqua. Un Paese da subfornitura, orientato verso i profitti secondari, deboli, molto più che all’end-use. Insomma un Paese che lavora se gli altri Paesi lo fanno lavorare. Tra le aziende end-use oriented la nostra dimensione media è salvo eccezioni (Piaggio, Ferrero, Campari, ecc) non congrua con le macro-domande planetarie di beni e manufatti.
Sul settore dei Limitati consumi si potrebbero fare alcune riflessioni. Cominciamo dal gruppo A, ovvero il serbatoio più grosso in cui dobbiamo andare a pescare nuovo lavoro.
Quest’ultima non è una gran bella constatazione perché vuol dire che non solo non possiamo fare affidamento su alcuni plus che ci appartengono per storia e tradizione (estro italiano, design, made-in-Italy, ovvero argomenti non di poco conto nella lotta per la conquista di spazi di mercato) ma ci rimane tassativamente interdetta anche la possibilità di servirci di un’arma di eccellenza: la pubblicità per cui non puoi fare una adeguata promozione a livello di Sistema-Paese.
La sensazione migliora se ci riferiamo a ciò che potrebbe accadere alle aziende del gruppo B. In questo caso abbiamo due possibilità concrete: puntare ad un’espansione della domanda interna e alla conquista di nuovi mercati esteri. Tutti i plus tradizionali sono a nostra disposizione (e non sono pochi), apertissima la leva della pubblicità. E se il nostro Sistema-Paese si sveglia un po’ può davvero fare miracoli promozionali.
La ripartenza del nostro sistema manifatturiero (escludendo moda e food) non può che avvenire facendo leva sul gruppo B, il quale dovrà fare da traino per le aziende del gruppo A. Sarà una sorta di progetto ferroviario organico, gestito dalle istituzioni con un’adeguata tecnica politico/aziendale, senza coazione ma con inviti indirizzati: questa tecnica si chiama impresa olonica. Si fonda sulla rete, rispetta scrupolosamente tutte le proprietà private in essere e punta ad una netta – e molto migliore – utilizzazione dei capitali propri aziendali, che da noi sono molto modesti e quindi preziosi. La sicurezza per tutte le aziende (gruppo B e gruppo A) non può che rafforzarsi, e non di poco.